Nella cronaca nera dell’estate le derive giallo-rosse

La crisi etica che il governo giallo-rosso sta spargendo, con le punte dei bonus di 600 euro ai parlamentari e il fallimentare controllo del territorio post lockdown, si sta ribaltando con inaudita pesantezza nella cronaca nera. Da sempre la “nera” è specchio delle crisi politiche e anche in passato fasi cruciali e clamorosi casi sono risultati legati da un filo. Ma questo agosto ci ha sottoposto tre vicende eclatanti e terribili, che dimostrano come ormai la degenerazione delle idee e dei costumi abbia intaccato il tessuto sociale profondo.

Mi riferisco al caso tremendo della Dj Vivina Parisi di Caronia e del suo figlioletto Gioele; all’omicidio violento dello spoletino Filippo Limini, il 25enne morto a Ferragosto investito nel parcheggio di una discoteca a Bastia Umbra durante una rissa; infine, al decesso a Modica del piccolo Evan Lo Piccolo di soli 21 mesi, picchiato e malmenato dal compagno della madre assente. Cosa hanno in comune questi tre casi? L’indifferenza. Cioè il distacco emotivo dalla gravità, dal senso di responsabilità, dalla partecipazione sia famigliare sia generale e dalla complessiva incapacità delle forze dell’ordine e giudiziarie di gestire la sicurezza.

Nel caso della Dj Viviana Parisi l’indifferenza è smaccante. Non solo da mesi la donna mostrava segnali di disagio, che avrebbero dovuto suggerire premure amorevoli e sostegni concreti, e non il solito “ti togliamo tuo figlio”, ma di fronte all’incidente nella galleria sulla A20 verso Palermo, pur avendo la Opel di Viviana urtato un furgone, sbandato ed essendosi fermata 50 metri più avanti, l’operaio che si è recato a controllare l’auto, trovandola incredibilmente vuota, non si è preoccupato di rincorrere la madre che si allontanava con il bambino in braccio. L’ha vista, ma non gli è venuto spontaneo raggiungerla immaginando un trauma, la paura, perché la percezione del danno e del rischio è ormai illanguidita, frantumata, congelata. Non solo. Come riferito nella trasmissione “Chi l’ha visto?”, madre e figlio sono stati notati anche da un turista brianzolo che si è fermato con la famiglia, il quale ha detto poi testualmente: “C’era una donna che scavalcava il guardrail tenendo in braccio un bambino, aveva un atteggiamento protettivo nei suoi confronti”. Neanche lui, però, le è andato dietro, ha scavalcato quel maledetto guardrail, le ha prestato soccorso, si è accorto che era assente, scioccata, l’ha aiutata, prendendo il bambino.

Viviana e Gioele sono stati inghiottiti dalla boscaglia. E sono trascorsi dieci di giorni e numerosi appelli prima che il brianzolo si sia presentato alla polizia a dare testimonianza. Per non dire delle ricerche strampalate mostrate nel video postato dal marito e padre del bambino, Daniele Mondello, dei numerosi esperti, cani molecolari, notizie contrastanti, ipotesi sconclusionate, elementi raccapriccianti.

Si è detto di tutto: suicidio, omicidio, branco di suini neri, rottweiler, mafie del luogo, tranne che il macroscopico indizio e cioè “la piramide della luce”, la scultura dove Viviana probabilmente stava per recarsi per assistere a un rito. E perché non se ne parla? Perché è un altro degli argomenti intoccabili e tabù delle fluide società giallo-rosse, visto che la piramide è un’istallazione alta 21 metri a Motta d’Affermo, realizzata nel 2010 dallo scomparso scultore Mauro Staccioli, commissionata dall’imprenditore Antonio Presti, dove ogni anno in estate si svolge la cerimonia “del trionfo del buio”. E Antonio Presti è un imprenditore sui generis, sedicente mecenate della bellezza, un visionario che con le sue istallazione e il progetto di “Fiumara d’arte” ha collezionato un iter travagliato e alcune candidature nel centro sinistra, fino alla visione della piramide con la grande fessura in cui la luce dovrebbe vincere il buio. Ma questi “riti” non per tutti sono panacea e normalità, come pensano i progressisti sinistri, perché al di fuori della cultura e della religione tradizionali in menti deboli, provate o manipolate possono diventare pericolose “ossessioni”.

E non c’è solo il caso di Viviana Parisi, finita in modo tragicamente indicibile. Pur di non dire di arte e politica alla Presti, delle nuove concezioni rituali che affiancano l’ideologia e hanno sostituito il culto tradizionale, delle performance con cui si cercano di spostare menti e stilemi, la fine della madre e del figlioletto è diventata un rocambolesco suicidio-omicidio senza capo né coda. Invece si sarebbe dovuto analizzare subito il “rito della luce”, i suoi credenti, lo stato di obnubilamento dei “rave rossi” di tanti come Viviana, entrata nella boscaglia in preda a un delirio con Gioele in braccio, probabilmente sbranati dagli animali selvatici. Fine del rito.

Non è andata diversamente col caso del 24enne spoletino, Filippo Limini, finito a pugni e due volte schiacciato dalle ruote dell’auto della gang rivale, il quale è stato aggredito davanti a tanti ragazzi all’uscita del Galaxy Bar a Bastia Umbra. Un luogo che conosco mattone su mattone, che frequento fin da ragazzina, fatto di ville di tranquilli bastioli, famiglie sane e serene, il bar poi si trova nel viale una volta detto “Giontella”, dove aveva luogo una fabbrica di tabacco e dove il proprietario, il mitico cavaliere Francesco Giontella, passava con la sua Roll-Roice nera come fosse Churchill. Gli operai, le operaie, l’odore degli essiccatoi, dei pini, tutto divorato dalla cronaca degli ultimi mesi e da una notte di agghiacciante follia, in cui nessuno pare si sia mosso per aiutare Filippo massacrato. Perché tanta indifferenza? Come si può arrivare a litigare in modo così barbaro per un’auto parcheggiata? C’entra la droga? C’entra soprattutto la politica, le divisioni che si ribaltano con rabbia negli strati giovanili, perché oggi i ragazzi sono divisi e prima di “schierarsi” calcolano, manipolati dalla propaganda. Chi sta coi fascisti, chi è razzista? La gang che ha ucciso Filippo, passandogli due volte sopra con le gomme dell’auto, era fatta da ragazzetti originari albanesi, che però sono nati tra Bastia e Bastiola e chi segue lo Ius Soli e Ius Cultura li considera “umbri doc”. Altri si ribellano. Il dibattito è questo. Che è diventato scontro micidiale.

Il terzo caso riguarda il piccolo Evan, un bimbo di 21 mesi di cui nessuno si è occupato, nonostante gli esposti del padre naturale e le minacce esplicite del compagno della madre ai danni del piccolo, con la culla sporca di sangue, il femore rotto, le ossa spezzate, tumefazioni ed ematomi ovunque, che non mangiava e non camminava. E qui tra pedofilia, coppie gay, bambini di Bibbiano, famiglie separate, allargate, gender e pillola delle 24 ore, nessuno ha capito più niente di infanzia e genitorialità. Evan è morto così, di disfacimento umano. Pasolini di questa società direbbe quanto scrisse negli anni Settanta, rampognando severamente la sinistra quando queste deformazioni hanno piantato le radici:  “Il male è risalito alla cancrena”.

Aggiornato il 25 agosto 2020 alle ore 12:33