La società aperta al bivio del Covid

Il mondo non finirà domani. Neanche sotto i colpi di un virus letale spedito da un mittente lontano. Wuhan non è proprio dietro l’angolo. Ma, nell’era del villaggio globale, tutto appare a un tiro di schioppo da noi. Tutto sembra arrivare da un qualsiasi vicino di casa con gli occhi a mandorla. A pochi passi dal nostro giardino. Questa megalopoli, calpestata da un pugno di milioni di uomini e donne, ha monopolizzato i titoli dei media internazionali negli ultimi tempi. Poi tutto è degenerato. Dalla Grande Mela, New York, alla vecchia Europa, molte parole sono state spese per decifrare il Dna di questa emergenza. E forse, in pochi all’inizio, avrebbero mai scommesso su un fatto sconcertante per le sorti della nostra democrazia: tutto potrebbe collassare. Non il pianeta Terra, certo, ma l’architrave istituzionale che ha permesso all’Occidente di vivere e prosperare negli ultimi duecento anni, almeno. A questo punto paiono d’obbligo almeno un paio di domande: può il Covid far annegare la società aperta? E poi: qual è il confine tra libertà e sicurezza (sanitaria)? Il mondo anglosassone se lo chiede. E anche da qui passa il dibattito politico all’ombra della Casa Bianca in vista delle elezioni presidenziali del prossimo novembre. È una battaglia tra allarmisti e negazionisti (come troppo spesso vengono erroneamente definiti i paladini dello Stato di diritto).

Non ci riferiamo a quei terribili complottisti anti vaccini, anti scienza, anti progresso. Ma parliamo di quelle semplici persone che si fanno domande su come gestire la crisi che stiamo vivendo senza annullare l’individuo e il suo spazio vitale. Sono spesso nomi scomodi, ma la storia è piena di teorie avvincenti e qualche volta eretiche. È la marcia verso lo sviluppo scientifico e sociale, fatto di teorie e confutazioni. Credo che sia tutto qui il grande gioco della convalescenza liberal democratica infettata da populismi e antipolitica. Questa partita, però, si gioca sulla pelle delle persone. Sul futuro dei nostri bambini e sul furore dei nostri sogni. La società aperta, quella chiusa soltanto ai violenti e agli intolleranti (come raccontava il buon vecchio Karl Popper), deve far i conti con questo male. E viene spontaneo chiedersi se l’Occidente, con le sue contraddizioni e le sue anomalie, riuscirà a riprendersi da questa ennesima crisi valoriale e culturale prima che sanitaria ed economica. Chi da imprenditore è nella trincea del lavoro deve essere sostenuto dallo Stato e lasciato libero di arricchirsi, per farla breve. Senza mance, ma costruendo autostrade di felicità e progresso.

Quindi, per non morire, il nostro sistema politico e di valori deve lasciar correre il mercato. Il capitalismo, in questo marasma, è l’antivirus più letale che esista. Rendiamo i nostri uomini e le nostre donne libere di scegliere un mondo migliore. Sì, anche quando si sfida una pandemia. Il riscatto della civiltà occidentale passa da qui. E una volta sorpassato l’argine della paura, tutto tornerà possibile. La libertà tornerà a generare benessere. E il virus, quello che ammala i nostri polmoni, resterà senza ossigeno. Archiviato dalla storia con un vaccino e una mascherina. In questo modo non si lascerà al relativismo la strada maestra. E al nichilismo l’unica, oscura, via di uscita possibile. Non dobbiamo avere paura. Una paura forse congenita. Ancestrale. Che domina il lato nascosto della nostra mente dalla notte dei tempi. Perché questo è il male da temere più di ogni altro. “Supereremo anche questa”, viene da pensare. È l’ennesimo bastone che il destino mette tra le ruote della nostra civiltà. La storia, la nostra storia, è più forte di qualsiasi epidemia. E solo la consapevolezza e il coraggio ci porteranno fuori dalle sabbie mobili del Coronavirus. Un passo avanti verso un futuro fatto di libertà e tesi strampalate in attesa di una negazione.

Aggiornato il 07 settembre 2020 alle ore 11:29