Giornata internazionale dell’alfabetizzazione: scrivere oggi, per vivere domani

mercoledì 9 settembre 2020


Ieri è stata la Giornata internazionale dell’alfabetizzazione, istituita dall’Unesco nel 1965 per sensibilizzare il mondo e le istituzioni al tema dell’analfabetismo. Quello che potrebbe sembrare un problema anacronistico è una piaga che coinvolge più di 750 milioni di persone, il 10 per cento della popolazione mondiale: il 65 per cento degli analfabeti sono donne (perché si tende a far istruire il figlio maschio) e più della metà degli analfabeti vive in Asia occidentale, in Africa e nell’America del Sud. Vivere in una realtà dove l’analfabetismo è diffuso in tutti i villaggi, in tutte le comunità, talvolta nella quasi totalità della popolazione nazionale è un dramma che difficilmente molto immaginano: il mondo dalla metà dello scorso secolo ha compiuto progressi di straordinaria importanza (dai viaggi spaziali alle tecnologie digitali, dalla chirurgia robotica sino all’intelligenza artificiale) eppure tra qualche decennio nel pianeta potrebbero esserci un miliardo di analfabeti, di persone senza le più elementari conoscenze di lettura e scrittura. Di bambini e ragazzi che non possono andare a scuola, a cui è preclusa la possibilità di costruire un futuro, che a malapena sanno parlare la propria lingua. Dietro ad un ragazzo analfabeta ci sono implicazioni economiche, culturali, logistiche: le famiglie non hanno i soldi per pagare le rette, la divisa, i libri, poiché le famiglie spesso guadagnano pochissimo e sono numerose.

Spesso le scuole sono lontane, disorganizzate, e senza docenti realmente preparati. Molti adulti ritengono che l’istruzione non sia necessaria e mandano i figli nei campi, o a prostituirsi, oppure li spingono a frequentare gli ambienti deviati delle città, con la speranza che si possano costruire una strada guidata da finti maestri. Essere analfabeta significa essere nel mondo ma non farne parte. Vivere come fantasmi in una società complessa, spesso nemmeno interessata alla formazione delle menti del futuro. I 300 milioni di bambini analfabeti di oggi saranno 300 milioni di adulti del domani, che non conosceranno i propri diritti e non sapranno rivendicarli. Che senza un titolo di studio elementare non potranno che ambire ad alcuna professione che non sia legata a sfruttamento e sopraffazione. Essere analfabeta vuol dire non essere in grado di ragionare, di legare ed interpretare le informazioni che costituiscono il linguaggio di questo millennio; significa stare fermi a guardare le decisione prese dagli altri, ascoltare i discorsi fatti dagli altri, senza avere la dignità culturale di inserirsi nelle relazioni. L’analfabetismo è, insieme alla carenza di sistemi sanitari in molte nazioni del mondo, uno dei paradossi più vergognosi e difficili da comprendere. Sapere che, a distanza di pochi metri, c’è un ragazzo che frequenta il liceo, che sa parlare e scrivere in più lingue, che sa decodificare i concetti scientifici come quelli filosofici, e un ragazzo che a malapena sa pronunciare una frase, è possibile. E scenari così grotteschi faranno sempre più parte del mondo dei prossimi anni.

Guardando alla condizione della nostra nazione, un’indagine dell’Ocse di alcuni anni fa ha evidenziato che il 30 per cento degli italiani possiede conoscenze linguistiche di primo livello e un altro 30 per cento conoscenze di livello medio, e che solo il 3 per cento della popolazione possiede un alto livello di conoscenze della propria lingua. Una condizione che potrebbe peggiorare, se si continuerà a vivere legati morbosamente alle tecnologie, che distraggono i ragazzi e gli adulti dal miglioramento linguistico e culturale, e che danno la sicurezza di poter avere il controllo su ogni informazione senza dover perdere tempo ad interpretare e a ragionare sui dati di un quesito. Ci si trasformerà in creature in grado di poter rispondere ad una domanda solo consultando i dispositivi più moderni. E che, se un giorno dovessimo svegliarci in un mondo senza tecnologia, non sapremmo nemmeno scrivere una lettere a mano. Dobbiamo disabituarci a vivere così, convinti che tutto sia a nostra disposizione, cercando invece di leggere, e di aiutare chi non sa farlo. Perché insegnare a leggere ad un bambino, significa dargli in mano la penna con cui scriverà il suo futuro il nostro futuro. Un futuro migliore. “I computer sono inutili. Ti sanno dare solo risposte” (Pablo Picasso).


di Enrico Laurito