Combattere la depressione ai tempi del Coronavirus

Nel pieno dell’emergenza sanitaria, di fatto economica, in cui versa il Paese, stritolato dagli incessanti litigi medico-politici che da mesi riempiono senza sosta i salotti televisivi, in pochi hanno teso la mano verso le categorie sociali più fragili, ormai relegate ai margini della questione pandemica. Perché se da un lato la crisi in cui sono sprofondate le imprese italiane, soprattutto quelle piccolo–medie, non può e non deve essere assolutamente trascurata, bensì arginata e combattuta con ogni mezzo disponibile, dall’altro è impensabile che migliaia di persone anziane, indigenti, psicologicamente vulnerabili, possano essere abbandonate.

Lo spettro del lockdown è tornato prepotentemente ad aleggiare sulle regioni italiane e con lui quello della solitudine, subdola nemica che non ha mancato, nei mesi di marzo, aprile e maggio dell’anno corrente, di mietere le proprie vittime, cadute sotto i colpi del forzato isolamento sociale e passate, purtroppo, pressoché inosservate. Insufficiente l’attività degli sportelli di ascolto e di prevenzione dei suicidi, talvolta scarsamente presenti sul territorio, sebbene il problema sia da ricercare alla radice: la salute mentale, in Italia, continua ad essere un argomento tabù, una tematica marginale, un qualcosa di aleatorio, di trascurabile, di cui vergognarsi.

E paradossalmente, tra i primi a non essere tutelati e adeguatamente assistiti dal punto di vista psicologico, vi sono proprio gli eroi per eccellenza della lotta al Coronavirus: medici ospedalieri e infermieri, lavoratori instancabili che hanno lottato nelle trincee di marzo e aprile con la perenne paura del contagio, per sé e per i propri cari. Poi ci sono le persone più anziane, costrette per tre mesi ad una vera e propria segregazione domestica impregnata di mestizia, sentimento acuito dall’impossibilità di ricevere visite dagli affetti familiari. Infine, i casi più delicati, bisognosi di specifici trattamenti che, in tempo di pandemia, sono difficili da programmare e da eseguire.

Ansia e sintomi depressivi, malattie invisibili per le quali non esiste una cura univoca. Anche su questo, forse, bisognerebbe riflettere. Il vaccino anti-Covid arriverà, quello contro la depressione no e non è servito nemmeno un dramma profondo come quello pandemico a risvegliare un intero sistema assistenziale, che da anni ormai viene costantemente avversato dalla mancanza di risorse e di personale, con gravi ripercussioni sui servizi di sostegno psicologico correlati, tutti fortemente in calo. Tanti, troppi gli avvertimenti degli specialisti rimasti inascoltati dalle istituzioni.

L’unica speranza, affinché la salute mentale non passi per l’ennesima volta in secondo piano, risiede ormai nella responsabilità sociale di ogni singolo cittadino di non lasciare solo il proprio vicino, nonostante i divieti e le restrizioni imposte dal Governo. Tendere una mano, seppur in forma metaforica, tenendo fede al principio dell’ascolto. Un tentativo doveroso, per combattere la depressione ai tempi del Coronavirus.

Aggiornato il 19 ottobre 2020 alle ore 09:27