Esponenzial-mente, un virus indisciplinato

Chi cresce esponenzialmente? La Cina o il virus? O entrambi? Di certo, la capacità di memoria dei computer segue nel tempo un simile andamento. Tuttavia, nessun fenomeno in natura può inseguire una crescita indefinita a ritmo esponenziale, perché poi, sempre e comunque, arriva un punto di rottura: l’esplosione, la catastrofe, il Big Bang o…l’immunità di gregge. Anche i terabytes trovano un limite invalicabile nelle leggi della meccanica quantistica. Così come il virus della spagnola trovò alla fine della sua corsa il semaforo rosso globale (alla Ilaria Capua), estinguendosi naturalmente per mancanza di soggetti suscettibili.

Certo, nel breve termine, soprattutto se parliamo di pandemia, accertato che il tasso di letalità del Coronavirus è del 4 per cento, il contagio, se lasciato a se stesso prima che si spenga, potrebbe fare più vittime della Grande Guerra qui in Italia. Domanda: le contromisure pre-vaccino attuali (per vaccinare il 60 per cento della popolazione mondiale occorrerà attendere il 2024), come distanziamento, mascherine e lavaggio frequente delle mani, su quali modelli matematici si basano per calcolare quel punto critico di rottura. Quando, cioè, la forza di contagio del virus inizierà la sua discesa più o meno rapida verso la sua estinzione? Teniamo conto, però, che malgrado manchino delle più elementari misure d’igiene, vastissime regioni dell’Africa sono di fatto graziate dal virus, avendo un tasso elevatissimo di popolazione giovane e giovanissima, destinata a non sviluppare quasi mai la malattia. Quindi, forse una stima più corretta da fare sarebbe ricalcolare con buon senso il tasso di mortalità sulla popolazione effettivamente suscettibile.

Utopisticamente, quindi, se isolassimo per un mese la popolazione più giovane inibendone il contatto con quella più anziana, avremmo risolto definitivamente il problema del contagio. Una simile misura paradossale sarebbe fattibile, se obbligassimo alle vacanze alla rovescia tutti gli studenti dell’età dell’obbligo, dei licei e delle università, confinandoli per trenta giorni di seguito all’interno dei plessi scolastici e degli istituti universitari. Così addio Coronavirus, con ben poche perdite tra le fila delle classi demografiche più giovani d’età.

Alternative serie e perseguibili? Qui ci troviamo davvero nell’imbarazzo della scelta. Possiamo mettere la testa nella sabbia e fare come il Boris Johnson prima maniera: puntare all’immunità di gregge, mettendo nel conto politico le perdite attese (= tasso di letalità, moltiplicato al 60 per cento della popolazione totale, che qui da noi, appunto, causerebbe perdite pari all’incirca al numero di vittime della Grande Guerra, senza che noi si sia sparato nemmeno un colpo). Oppure, sul versante opposto delle scelte estreme, imitare la Cina, produttrice mondiale indiscussa di Coronavirus, anche grazie alle innumerevoli specie di pipistrelli che vivono nel suo territorio. Da quelle parti, dopo il drastico lockdown che ha coinvolto sessanta milioni di cittadini cinesi, la scelta è stata “nessun dorma”. Nel senso che si è stesa sul territorio una rete sanitaria fittissima, tale da catturare e imprigionare nelle sue maglie qualsiasi pesciolino, asintomatico o malato.

E come funziona questa pesca che non ha nulla di miracoloso? Facile-facile, per modo di dire. Se avete parecchie centinaia di milioni di telecamere sparse un po’ ovunque, con algoritmi affidabili di riconoscimento facciale; se avete obbligato tutti i vostri cittadini a installare sui loro telefonini le app di tracciamento; se avete organizzato nel territorio presidi territoriali sanitari in grado di testare (tamponare) tutti coloro che siano entrati in contatto con un positivo (ve lo dice la app “chi, come e quando”); se siete in grado di isolare per amore o per forza (buona l’ultima, in Cina) tutti i positivi fino alla loro negativizzazione, garantendo agli interessati assistenza sanitaria e mezzi vitali di sussistenza; se siete in grado di criminalizzare con sanzioni penali e amministrative tutti coloro che si sottraggano agli obblighi di isolamento e di cura. Ecco, se avete soddisfatto tutti i “se” precedenti avrete sconfitto il virus e potrete pensare liberamente solo alla crescita economica, già. Ma se siete Giuseppe Conte e vi trovate a governare un popolo orgogliosamente, tenacemente e irriducibilmente anarchico come gli itagliani (con la “g”) e dovete fare i conti con il consenso democratico, come la mettereste?

Diciamo che tutti i modelli previsionali epidemiologici di natura matematico-statistica dovrebbero mettere a punto nuovi parametri che puntino alla più corretta valutazione del famoso tipping point (vedi Paolo Giordano, ottimo fisico delle particelle e romanziere di grande successo, con i suoi articoli sul Corriere della Sera, il primo del 14 ottobre scorso, il secondo del 18 ottobre) mirato alla valutazione della crescita del tasso di occupazione delle terapie intensive e al raggiungimento probabilistico del suo punto critico di non ritorno. In corrispondenza di quest’ultimo, infatti, si passerebbe alla logica emergenziale che regola il soccorso ai feriti sul campo di battaglia, in caso di guerra, per cui il medico deve scegliere chi soccorrere e chi lasciar morire. E fino ad allora, a distanza di sicurezza del tipping point che cosa è assolutamente necessario fare, non essendo come ben noto gli italiani nemmeno lontanamente paragonabili ai cinesi?

Esemplificando, mettere in regime di e-learning gli studenti più grandicelli, dai licei alle università, in modo da alleggerire il trasporto pubblico; vietare per almeno sei mesi qualsiasi assembramento con più di “tot” persone; ri-centralizzare temporaneamente tutte le decisioni sanitarie sull’emergenza quali tamponi, presidi di tracing, orari di apertura e chiusura dei locali pubblici; individuazione e imposizione di lockdown locali, o zone rosse, a partire dal rischio del raggiungimento del tipping point di contagio nell’area considerata. “Tutto il resto è noia”, dice una famosa canzone.

Aggiornato il 20 ottobre 2020 alle ore 09:53