Mi sarei sinceramente stancato di scrivere, parlare, leggere e sentire del Coronavirus. Forse sarebbe meglio tacerne, lasciandolo così al suo destino votato al nulla dal quale proviene e non favorirne più le sue conseguenze più deleterie: la paura e la follia.

Purtroppo, però, parrebbe che ciò non sia possibile. E allora ne tratterò ancora una volta secondo i miei pensieri “fuori dal coro”, dei quali vado orgogliosamente fiero, prendendo spunto dai recenti fatti di Napoli, seguiti dalla notte romana. Come il gambero, l’astro del mio segno, cerco dunque indietro nel tempo analogie con il tempo in cui viviamo. Perché se è vero come è vero ciò che sosteneva Giambattista Vico, potremmo anche – tristemente – sottoscrivere la battuta del ben più modesto Karl Marx, il quale diceva che la storia si presenta sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.

In realtà, avrei voluto svolgere un discorso molto più elaborato e complesso di quanto leggete, che già sarà abbastanza diffuso e chi scrive non ama la prolissità verbosa, ma non è questo il luogo. Per cui eviterò di riprendere temi riguardanti i cicli cosmici, tanto lascerebbero freddi la maggior parte degli attuali “intellettuali” di questa destra nella quale non mi ritrovo da decenni, tutti troppo impegnati a osannare la Carta del Carnaro, ovvero quanto di più controiniziatico e antitradizionale abbia partorito un pensiero, che avrebbe dovuto restaurare un principio d’autorità superiore e non distruggerlo. Mi sono fatto ancora una volta nuovi nemici? Ottimo, che si mettano ultimi da quali sono nella mia lunga fila e attendano il loro turno, intanto che torniamo ai fatti partenopei di “rivolta” contro il viceré Vincenzo De Luca.

Sarebbe bene che qualcuno, troppo chiederlo ai rappresentanti politici di una destra sempre più incolta e attenta a non disturbare il “politically correct”, studiassero di più la storia del nostro Paese, non quella alla quale si sono malamente fermati, tra la Grande Guerra e la “Nuova Repubblica”, no, quella di qualche secolo prima. Se così facessero, scoprirebbero fatti analoghi a queste piccole sommosse napoletane, già avvenute nei primi decenni del Seicento e dovrebbero avvertire un brivido di deja vu, se non fosse che oggi mancano alcuni elementi fondamentali, ovvero il senso della giustizia superiore incarnata da uomini e dalle loro azioni.

Mancano oggi figure d’eccezione, non soltanto come il popolano e popolare Masaniello, l’amalfitano Tommaso Aniello, ma soprattutto qualcuno che spicchi tra gli uomini di cultura e d’azione, come Salvator Rosa, uno dei più grandi pittori – e spadaccini – che ebbe la nostra età Barocca e che spesso, si erse vindice a difendere il popolo oppresso. Salvator Rosa al quale il cinema del Ventennio, con il regista Alessandro Blasetti nel 1939 dedicò un film dal titolo “Un’avventura di Salvator Rosa”, proprio in ricordo del suo essere artista di gran pregio e nel contempo uomo d’azione e di libertà. Blasetti ambienta la vicenda immaginaria, ma con richiami alla realtà vera del tempo e della vita di Salvatore, nel Regno di Napoli, nel quale l’oppressione spagnola si è fatta più feroce dopo la fallita rivolta di Masaniello. Rosa è un eroe misterioso, dal volto coperto da una maschera, che il popolo conosce con il nome di Formica, eccellente spadaccino e geniale creatore di beffe ai danni del viceré di Napoli e del suo fido consigliere. Il film di Blasetti, girato negli stabilimenti di Cinecittà con uno straordinario Gino Cervi nella parte di Salvator Rosa – e dunque del giustiziere mascherato, Formica – si ricollega a quella tradizione avventurosa che vede in lui un prototipo del campione delle libertà, conseguita con l’astuzia, l’intelligenza e anche la spada. Costumi e scenografie sono tratti con la più grande cura e attenzione dai dipinti dell’epoca, soprattutto da Velasquez, in quello che si rivela essere uno di maggiori successi cinematografici del suo tempo, romanzo di cappa e spada, avventuroso e semplice seppur sontuoso, dove amore e giustizia alla fine trionfano.

Ma nella Napoli secentesca di Salvatoriello, o Salvator delle battaglie così come Rosa era anche chiamato, erano ancora vive e operanti quelle forze “misteriose” che guidano l’uomo verso alti destini, “potenze” che oggi si stanno ritirando lasciando che avvenga pure ciò che deve accadere, in un lungo crepuscolo che prelude all’inverno del nostro scontento. Ma per i pochi che hanno occhi per vedere di là dalle mere azioni dei rivoltosi, esiste la possibilità di cercare una porta sull’estate e, aprendola, varcare la soglia verso un mondo migliore. Si tratta di non lasciarsi trasportare dalla corrente della follia e della disperazione e navigarla, invece, con fermo polso di drago.

Aggiornato il 26 ottobre 2020 alle ore 09:45