Proposte mediatiche, dal Bolero a un Can-can

martedì 24 novembre 2020


L’Italia danza divisa e sfiduciata come nel bolero di Maurice Ravel su una frase musicale ripetuta all’infinito senza speranza e senza oggetto: la crisi e il virus. E la ripetitività non porta a nulla, perché mancano il guizzo, l’idea e la speranza. Come nel 1929 della grande depressione, che investì Europa e Americhe, siamo nel “cupio dissolvi”. La nostra epoca rinnova questo lento, incalzante, ripetitivo suicidio per iterazione, perché dallo scoppio della pandemia non vi è altro che economia a picco, contagi, ricoveri, misure contenitive, coprifuoco, quarantene, chiusure, luci spente e morte nella più frastornata incapacità di indicare soluzioni. Non è la società malata, perché allo scoppio del Covid-19 di fronte a quella impressionante chiamata a stare tutti a casa, quel lockdown mondiale che per tre mesi fermò il mondo, gli italiani reagirono con le corde del genio italico e della tradizione, inventando musica sui tetti, note sui balconi, una connessione di saluti, di cartoline casalinghe e scoppiò l’amicizia via web, il famigliare digitale, in un tripudio di patriottismo e amore. Sullo sfondo però la politica digrignava i denti, iniziava le sue rancorose opposizioni, le accuse e le colpe, mentre la Chiesa ratificava il vuoto ed entrambe queste istituzioni, anziché prodigarsi in una unità nazionale e morale straordinarie, ne hanno approfittato per mettere a segno il colpo fatale e avviare la fase più cruenta dei loro distinguo. Cioè, la battaglia finale, questa insolita “Terza guerra mondiale” che ci sta divorando. Fermiamola! Come?

I divieti sono troppi, associati a incidenti, tragedie e casi neri che hanno contrapposto culture e religioni in pozze di sangue e per contrastare tutto questo non basterà un vaccino e non basteranno fondi europei, perché è la vita che deve tornare a pulsare e con essa la nostra specificità, cioè l’ingegno e il talento. I più giovani avevano affrontato la pandemia con l’entusiasmo dei loro anni e “finalmente”, dicevano, “nulla sarà più come prima”, mentre i bambini riempivano le città dei loro disegni arcobaleno prendendoci per mano per rassicurarci “andrà tutto bene mamma e papà”. Li stiamo tradendo e soffocando. Allora voglio provare a fare un taccuino di proposte, o meglio di domande. Perché non si fa questo?

Parto dai media che ci uniscono: tv e computer. E dalla constatazione che si è fermato il cinema, il teatro, i concerti, la danza. Visto che si impone a milioni di italiani di chiudersi in casa dopo le 22, che si lamenta che i giovani non stanno alle regole, perché la televisione non diventa la piazza virtuale? Dov’è il tele–teatro: dove sono le grandi serate di opere, le repliche delle grandi produzioni, il ciclo delle commedie di Eduardo De Filippo ogni volta fa volare le audience, ma c’è Giorgio Strehler, ci dovrebbe essere un grande omaggio a Gigi Proietti, ci sono i protagonisti, i grandi interpreti che possono rievocare, raccontare il diario della grande stagione italiana, ci sono famosissimi e maestranza senza lavoro, come non si pensa a una produzione tv straordinaria, semmai in collaborazione pubblico-privato?

Stesso vale per il cinema. I film che passano in tv sono la trama della cronaca nera che poi si riproduce, tutto è violenza e morte. Non è il tempo invece di grandi serate cinema, introdotte dai registi, attori, sceneggiatori, tra repliche e storia della nostra più grande tradizione? Una selezione di pellicole col senso della speranza, della ricostruzione, per indicare a giovani e i tanti stranieri il valore della nostra Italia? E la cultura, il turismo fermo? Non possiamo mandare telecamere nelle città, nei borghi, nei grandi ristoranti, negli hotel a farci raccontare quella voluminosa storia dei tanti che sono passati per la migliore cartolina da mandare nel mondo quando riprenderà l’economia dei viaggi? Ricordo che le serate al “Museo egizio” di Alberto Angela sono state un boom di ascolti con la partecipazione di personalità come Riccardo Muti, Piergiorgio Odifreddi, Eva Cantarella.  Il sabato sera, ma ricordate “Studio Uno”? Quanti protagonisti “vietati” abbiamo dello spettacolo che si possono esibire, visto che le sale sono chiuse, i teatri spenti, i concerti cancellati? La Rai non ha forse l’obbligo di dare una risposta ai tanti ragazzi e la tv privata non deve inventare la movida che non c’è? Penso anche, nell’imminenza del Natale, a una tombola nazionale, sullo stile di un Telethon, a spettacoli pirotecnici dalle città d’Italia, a un brindisi nazional-popolare dai balconi, a case famose collegate con la gente comune, per cenare e brindare uniti seppure virtualmente. L’Italia è una e serve forte.

Poi c’è la formazione. E cioè usare computer e tv per corsi digitali, per formazione per stranieri, una tv dei bambini. Il computer e la televisione sono la grande lavagna del futuro. Sicuramente non è il momento del Bolero di Ravel, ma come insegnava Albert Einstein “è il tempo di creare, il miglior tempo per l’ingegno e la creatività”. In ultimo, i giornali. Lamentano che non vendono copie. Mi dite perché non esiste un modo di cliccare e comperare la copia del giornale del giorno, ma anche il singolo articolo da leggere? Ma possibile che debba fare venti abbonamenti annuali al giorno? E dai…rossi e neri, basta!


di Donatella Papi