Opinioni a confronto: tre uomini in barca

venerdì 4 dicembre 2020


Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;                                                    

sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

                   (Dante)                                                                                                                       

“Ciao, Renato. Stamattina, come mi accade spesso, entrato nel mio studio, sono andato ad uno scaffale della biblioteca e istintivamente ne ho tratto un libro a caso, che talvolta mi dà l’ispirazione per scrivere qualcosa. Così dicono che capiti con la Bibbia: se uno, anche fuori dal campo religioso, ha in mente una domanda a cui non sa rispondere, la prende, l’apre a caso e in quella pagina trova la risposta”.

“Ciò confermerebbe l’esistenza dell’‘angelo custode’, o di Dio stesso che ci guida, soprattutto in circostanze difficili o particolari. E qual era il titolo del libro?”.

“Tre uomini in barca, di Jerome Klapka Jerome”.

“L’ho letto quand’ero ragazzo, ma non ne ricordo il contenuto. Di che cosa parla?”.

“Di una scampagnata di tre amici, che per distrarsi dalla faticosa e impegnativa vita quotidiana e dal solito e monotono lavoro, partono insieme a un cane, un fox terrier che si chiama  Montmorency, e se ne vanno in barca lungo un fiume. E’ un romanzo che Jerome trasse dalla realtà, ispirandosi alla sua luna di miele in barca sul Tamigi. Ciò che colpisce a leggerlo oggi, col mondo sottosopra per via del coronavirus, sta nel fatto che, pur nell’apparenza di un racconto ironico e scherzoso, contiene riflessioni filosofiche sulla vita dell’uomo, in particolare nell’Inghilterra di fine Ottocento. Il tutto raccontato con umorismo e con distacco dalla realtà, la quale, pur con i suoi malanni, risulta addirittura divertente”.

“Tu hai scritto una commedia intitolata Il Signore si diverte. Così la pensa spesso l’uomo saggio, e noi della saggezza abbiamo già parlato”.

“La saggezza, ecco il punto! L’altro ieri, ricordando Arturo su l’Opinione, ho parlato proprio della sua saggezza. Sta’ a vedere ch’è stata la sua mano che mi ha fatto prendere quel libro, come se lui mi volesse dire che ho perduto un amico, ma che mi resti tu.

“‘Siamo rimasti in tre’, diceva una canzone di Modugno. Ma senza Arturo io e tu siamo rimasti in due. Certo, lui di amici ne ha avuti tanti e lo ricorderanno sempre con affetto, ma noi tre, messi insieme, eravamo un po’ particolari. La vera amicizia è un ideale che raramente trova corrispondenza nella realtà e che richiede un’indagine lunga, profonda e faticosa”.

“Arturo aveva un volto ch’era davvero lo specchio dell’anima, o l’anima del corpo, come dicevano Cicerone e Wittgenstein. Ci sono persone che anche se tu le incontri per la prima volta, basta che le guardi e t’ispirano un sentimento di simpatia, che poi via via, con la frequentazione, si trasforma in amicizia. Tale era Arturo, e tale appare in tutte le sue foto”.

“Ho letto uno dei sonetti che gli hai dedicato: ‘Tra le foto che sono a me più care / nel mio studio, sereno e sorridente, / spicca il tuo volto’. Certuni, invece, anche al solo guardarli sono antipatici, e con l’antipatia non si costruisce un’amicizia, che in quel caso, anche volendola, diventa un vero e inutile travaglio”.

“A proposito di travaglio, ci sono persone che non solo nel volto ma anche nel loro cognome non ispirano simpatia. Uno può essere fazioso ma non per questo incivile, non si scaglia contro l’avversario, non l’insulta, non si arrabbia, è un fatto di cultura, quella persona non possiede un minimo di filosofia, non capisce che l’uomo è un animale dialettico e che non solo in politica ma in ogni campo bisogna che ci siano una Destra e una Sinistra, una tesi e un’antitesi che devono condurre ad una sintesi, ma sine ira et studio, come diceva Tacito, senza animosità e faziosità. Se penso all’amarezza con cui Arturo se n’è andato, quando alcuni, dopo l’operazione, gli hanno augurato la morte, mi si spezza il cuore, non riesco a trovar pace. Tu che ci sei dentro, mi sai dire perché la Roma e la Lazio si guardano in cagnesco? Io non m’intendo di Sport, ma ho letto che molti definiscono la Lazio di destra e la Roma di sinistra, e così fanno anche con altre squadre”.

“Arturo nello sport era un uomo particolare, pregevole, capace, profondo conoscitore di uomini e di cose. Amava definirsi  ‘sentinella’ della Lazio calcio, una Società che amava e alla quale si è dedicato anima e corpo, da tifoso e da addetto ai lavori, come responsabile della comunicazione. Sempre presente in tribuna stampa, anche quando, a seguito di un incidente alla gamba, il comune amico Guido Paglia andava a prenderlo e se lo caricava letteralmente sulle spalle. Sono tanti gli episodi che si possono ricordare di Arturo, sempre basati sulla capacità di risolvere i problemi col suo sereno e rassicurante sorriso. Uno sportivo, buono, leale, corretto, che ha incarnato quelli che sono i veri valori dello sport. Buon viaggio Arturo: sarai sempre nel mio cuore e nei miei pensieri. Con la tua voglia di fare, col tuo essere perennemente in divenire, sei uscito dal campo in silenzio, ma gli applausi di chi ti ha voluto bene e ha imparato a conoscerti ti accompagneranno per sempre. Perché non chiudiamo questa conversazione col sonetto che hai scritto sulla nostra amicizia con Arturo, ispirandoti al celebre sonetto di Dante?”.

Vorrei, Renato, che tu, Arturo ed io

fossimo presi per incantamento

e messi in un taxì che lento lento

andasse in giro a voler vostro e mio,

 

in modo che così, piacendo a Dio,

parlando, d’argomento in argomento,

crescesse in noi l’antico sentimento

che mai non è caduto nell’oblio,

 

e la Francesca tua, Barbara e Lia,

ch’una ne pensa e cento se ne inventa,

venissero con noi di buon umore,

 

e, parlando così del nostro amore,

ciascuna d’esse fosse assai contenta,

come di certo lo saremmo noi.

Prefazione di Renato Siniscalchi


di Mario Scaffidi Abbate e Renato Siniscalchi