La sicurezza a scuola è nuda, ma sotto un bel vestito

Negli ultimi mesi c’è stata sempre una grande indignazione, sui media e nei social, di fronte agli improvvidi assembramenti di giovani e meno giovani nelle strade e nelle piazze delle nostre città, dove spesso hanno ballato e parlato senza mascherina e dove, anche quanto l’hanno indossata, lo hanno fatto a distanza ravvicinata, ben inferiore al metro precauzionale stabilito dalle regole in vigore. Potremmo tuttavia chiederci se una tale spontanea disposizione alla preoccupazione e all’indignazione si verifichi anche in altre circostanze analoghe, e in particolar modo di fronte alle situazioni che si verificano secondo molti testimoni ogni giorno nelle nostre scuole. Come si sa, la tesi prevalente sulle scuole, o almeno quella prevalente nei media, è che siano luoghi, se non proprio sicuri, abbastanza sicuri. Per accertarsi della verità o falsità di una simile convinzione basterebbe fare un esperimento semplice, che ciascuno può realizzare quando vuole da casa sua. Premesso che la distanza di un metro con la mascherina è considerata abbastanza sicura, e che quindi non se ne considera invece abbastanza sicura una inferiore, chiunque può chiedere a chi frequenta una scuola (sia egli studente, docente o personale scolastico) scegliendolo possibilmente tra quei suoi amici o conoscenti, che reputa abbastanza onesti e sinceri, se ai cambi dell’ora, durante la ricreazione o all’uscita, le distanze di sicurezza vengano rispettate. La domanda potrebbe essere la seguente: “Nella tua scuola ti è mai capitato di vedere, al cambio di un’ora, o a ricreazione, o durante l’uscita, almeno due studenti della stessa classe a una distanza inferiore a un metro? Qualora la risposta sia “no”, potrà trarne legittimamente la convinzione che le scuole siano sicure, qualora invece la risposta sia “si” potrà altrettanto legittimamente ritenere che sia vero il contrario, convincimento che dovrebbe comunque essere meglio determinato sondando anche la quantità delle constatazioni.

Lo si potrebbe fare attraverso una domanda specifica sulla percentuale di casi in cui chi viene interpellato ha rilevato il superamento della distanza di sicurezza, così da avere un’informazione indicativa. Se per esempio l’interpellato rispondesse “sì, circa nel 50 per cento dei casi”, calcolando che almeno due studenti per classe si sono trovati a una distanza inferiore a quella ritenuta sicura tra i cambi dell’ora, le ricreazioni e le uscite avremmo (e ci pare di partire da dati ipotetici calcolati al ribasso) almeno uno studente a rischio contagio per ogni classe. Naturalmente, questo numero indiziario sarebbe tanto più indicativo quanto saranno maggiori gli intervistati e il livello della loro affidabilità, ma come esperimento condotto senza mezzi da casa e magari per telefono potrebbe già fornire qualche elemento utile di riflessione. Infatti, tenendo conto che in Italia ci sono circa 370.611 classi, avremmo lo stesso numero di studenti a rischio contagio ogni giorno. Supponiamo che tale rischio si traduca in un contagio effettivo solo nell’1 per cento dei casi: avremmo circa 3706 contagi nelle scuole al giorno, che fa circa 96.356 contagiati al mese e circa 741.200 nei 200 giorni dell’anno scolastico. Ma questo non è il solo ragionamento che ci può portare a concludere che la scuola in presenza, così come è concepita ora, non è affatto sicura, e che lo era ancora meno fino a due mesi fa, quando si poteva stare in classe anche senza indossare le mascherine. Un articolo apparso qualche tempo fa su El Pais e riportato anche da Repubblica, da Il Sole 24 ore e da Orizzonte scuola ci porta a conclusioni più pessimistiche. Si tratta di una ricerca condotta da un gruppo di scienziati guidato da José Luis Jiménez, professore di Chimica e Dinamica delle particelle dell’aria dell’Università del Colorado, ricerca che è sicuramente assai più scientifica di quella solo indiziaria che abbiamo proposto d’intraprendere su scala personale.

Nell’articolo in questione si spiega come in una classe di 24 alunni, se questi “passassero due ore di lezione con un docente malato, senza prendere nessuna misura contro gli aerosol, la probabilità di contagio arriverebbe fino a 12 alunni. Se tutti portassero mascherine, solo 5 si potrebbero contagiare. Nel caso di focolai reali, è stato osservato che la distribuzione dei contagi è aleatoria, perché senza ventilazione gli aerosol si accumulano e si distribuiscono per tutta la sala. Se oltre alle mascherine la stanza viene ventilata durante la lezione (in forma naturale o meccanica) e se dopo un’ora si interrompe la lezione per rinnovare interamente l’aria, il rischio si riduce enormemente”. Ora, se anche in questo caso calcolassimo che si contagiasse effettivamente solo l’1 per cento di questi 5 studenti per classe (e dunque una percentuale anche qui molto ottimistica), ne risulterebbero 0,05 per classe ogni giorno e cioè 7.412,220 contagiati al giorno su scala nazionale, che fa 1.482.444.000 studenti l’anno. Si tratta di una cifra praticamente doppia di quella scaturita dal ragionamento precedente (741.200), che in effetti era stata calcolata partendo da ipotesi di contagiosità ancor più ottimistiche. Al cospetto di questi dati non rassicuranti, anche perché tutti questi positivi sono poi destinati a contagiare altre persone (nelle abitazioni, sui mezzi pubblici, nei locali pubblici e nelle strade), se invece riservassimo le lezioni in presenza ad occasioni di attività socializzanti all’aperto e alle verifiche scritte, quando si può stare molto più in silenzio e distanziati, utilizzando magari le aule più grandi e areandole bene dopo ogni prova, il rischio di contagio potrebbe essere ridotto moltissimo e potremmo conservare le scuole almeno parzialmente in presenza per tutto l’anno scolastico o fino a quando tutta la popolazione scolastica non sarà vaccinata. In questo modo, attraverso cioè un’integrazione razionale di presenza e distanza, si potrebbe forse affrontare questo periodo così difficile per il nostro sistema educativo nel modo meno ricco di conseguenze negative.

Ma per prendere sul serio le riserve, le ricerche e i ragionamenti che abbiamo qui menzionato e riassunto sarebbe necessario aver sviluppato un’etica della responsabilità che oggi è assai poco diffusa. Nella migliore delle ipotesi, di questi tempi l’etica della responsabilità arriva sempre dopo l’etica della convinzione, e più esattamente della convinzione ideologica, che spesso è anche piuttosto miope e faziosa. O almeno è così nella migliore delle ipotesi, e cioè quando si è in presenza di qualche etica. Probabilmente, di questi tempi, si tratta di casi rari. La preoccupazione prevalente infatti non sembra tanto, come in una famosa favola di Hans Christian Andersen, quella di non fare la figura degli sciocchi, quanto quella di apparire premurosi ed efficienti senza correre il rischio di penalizzare la propria parte politica, qualsiasi cosa essa dica, faccia o pretenda. La scuola, si dice quindi da mesi, è sicura. Tanto poi la si può sempre chiudere tardivamente dopo qualche morto evitabile in più. Come dire: il Re, cioè la scuola, è nudo. Ma chi la gestisce e la maggior parte dei media continuano da tempo a dire che ha un bel vestito, buono per scavare un pugno di consensi in più nei sondaggi, speculando cinicamente sulla salute di tutti gli studenti e delle loro famiglie, dei docenti e del personale scolastico.

Aggiornato il 21 gennaio 2021 alle ore 09:59