Sanremo, il meglio e il peggio

Quasi dalla notte dei tempi le serate del Festival di Sanremo funzionano così, per gli spettatori: ore e ore di canzoni e chiacchiere insulse, durante le quali si cucina, si serve a tavola, si sparecchia, poi si pispola sullo smartphone, ci si lavano i denti, talvolta una pennichella e via. Poi, a tratti, uno sprazzo, un guizzo, un’immagine, una nota, una parola, che ti risvegliano l’attenzione sulla tv e ti fanno pensare: “Oh, vediamo qui dove si va a parare”. Nel bene e nel male. Ieri sera siamo riusciti ad estrapolarne sedici, di questi momenti, equamente suddivisi tra Male e Bene. Di più non è stato possibile. Le rispettive classifiche sono in ordine crescente.

 

Il Peggio:

 

8° posto alla classifica generale: mai una sorpresa, mai una gioia.

7° posto: I vestiti di Orietta Berti. Con tutto il rispetto per le scelte personali, deve esserci un limite al cattivo gusto in televisione, anche in vista dell’educazione delle future generazioni. Ieri si è presentata pronta per il letto: pigiama rosa e liseuse sulle spalle. Ho coperto gli occhi alla bambina, che purtroppo era ancora sveglia.

6° posto: l’uscita di Beatrice Venezi. Proclama che lei preferisce farsi chiamare “direttore” (d’orchestra) e non direttrice, perché quello è il nome specifico della sua professione. È consapevole della sua uscita, infatti butta le mani avanti avvertendo che si assume la responsabilità di quello che dice. Ok, hai avuto il pregio di stimolare accesi dibattiti sui social network, che uno si distrae pure un po’.

5° posto: il look di Madame. Lasciamo stare che non si capiva una parola della canzone, perché non sai se è una scelta stilistica, quella di smozzicare le parole, o un problema non affrontato in età scolare e, quindi, meglio non avventurarsi in commenti. Ma con il seno e l’ombelico evidenziati sul vestito più volgare della storia del Festival, che voleva dirci, esattamente?

4° posto: il monologo di Barbara Palombelli. Racconta, con gli occhi lucidi, della sua dura esistenza di adolescente e, poi, giovane donna di Parioli. Nel difficile contesto di Piazza Euclide, veniva costretta a lavorare già all’età di 15 anni e a studiare “fino alle lacrime”, per ottenere il rispetto del padre. Poi, come accade spesso, anche a chi non è figlio di giornalista, un bel giorno ti chiamano per assumerti al Corriere della Sera. E lì è il riscatto di tante sofferenze e stenti. L’intento del pistolotto era anche lodevole: stimolare le ragazze ad inseguire i loro sogni. Però...

3° posto: l’orario. Se chiudi un programma alle due e mezzo di notte le cose sono due: o sei completamente fuori dalla realtà e pensi che la gente non abbia niente da fare nella vita, oppure hai rilevazioni aggiornate sul consumo nazionale di stupefacenti. In ogni caso, io valuterei una querela collettiva per sequestro di persona.

2° posto: Zlatan Ibrahimović. Qui bisogna diventare seri. Il Festival è un varietà, siamo tutti d’accordo? Fuor di retorica, la realtà è che ci sono artisti, attori, musicisti che stanno a casa da un anno. Davvero non c’era uno che avrebbe fornito contributo migliore di Ibrahimović, che peraltro non ne ha fornito alcuno? Non c’era uno straccio di performer di qualsiasi genere che avrebbe avuto veramente bisogno di un cachet e non lo avrebbe utilizzato per le mance al ristorante? Chi volevi fidelizzare, i milanisti? Una spiegazione ce la dovrebbero, anche perché il canone Rai lo paghiamo.

1° posto: il duetto Fiorello/Amadeus su “Siamo donne”. Dite davvero che ce la meritavamo, come popolo? Non lo escludo, eh.

 

Il Meglio:

 

8° posto: la classifica della Sala stampa: quasi interamente da sottoscrivere.

7° posto: la polemica strisciante sui fiori alle donne. Serpeggiava da un po’, ma ieri sera è deflagrata con Damiano dei Maneskin che sfila il mazzo alla collega e la Michielin che cede il suo bouquet a Fedez. Che serva a muovere qualcosa nell’universo del paternalismo maschilista?

6° posto: Gaudiano. Il ragazzo vince meritatamente tra le “nuove proposte” con un bel pezzo ben interpretato, poi dedica la vittoria al papà che non c’è più. TV del dolore trita e ritrita? No, perchè il tutto ha dato impressione di grandi onestà e verità.

5° posto: Colapesce e Dimartino. I ritmi heighty e la pattinatrice a rotelle non traggano in inganno: nel testo la leggerezza è solo invocata, le consapevolezze sono altre. Che bel lavoro!

4° posto Mahmood. Non solo è bravissimo come autore, ma ha una tecnica vocale eccelsa ed è bello. Il fatto è che, nonostante il successo, resta umile ed educato. A notte inoltrata, il suo mini-concerto ha risollevato parecchie palpebre.

3° posto: Gli Extraliscio con Davide Toffolo: la vera sorpresa di questo Sanremo. Un’esplosione di sonorità folk e liscio da balera raffinatissima. A sottolineare il perfetto mix tra antico e modernissimo della loro proposta, portano sul palco una coppia di ballerini squilibratissima per età. Tutto molto gradevole. Non capita spesso.

2° posto: Lo Stato Sociale. Ormai sono una delle poche certezze del panorama musicale italiano di una qualche rilevanza. L’intelligenza del testo e delle esibizioni, l’ironica polemica contro le ipocrisie del “sistema”, a ritmo di scatenato rock and roll, ripagano di tante atrocità visive ed auditive subite nel corso della serata.

1° posto: Maneskin. Lo so, in molti non saranno d’accordo su questa medaglia d’oro e il brano sanremese non è nemmeno il loro migliore. Ma chi ha da ridire, mi faccia il nome di un’altra band italiana degli ultimi 15 anni che faccia rock a questi livelli, sappia creare e suonare come loro e disponga di un frontman tanto carismatico. Ah, li voglio di 20 anni, perché quelli di 60/70 li posso citare anche io.

Aggiornato il 06 marzo 2021 alle ore 15:20