La quarta mafia: a Foggia la Gomorra di cui nessuno parla

giovedì 13 maggio 2021


La mafia foggiana uccide e piazza ordigni esplosivi, semina più vittime della Camorra. Ma nella seconda provincia d’Italia non c’è una direzione distrettuale antimafia, non c’è una sede della Dia, non c’è una Corte d’appello. Alla politica nazionale e locale si chiederebbe meno inutile chiacchiericcio e più fattualità, soprattutto nel farsi facilitatrice per le occasioni di sviluppo, unico vero antidoto al degrado. La questione della criminalità foggiana è stata oggetto di una particolare attenzione negli ultimi due anni come emerge sfogliando le pagine della relazione che la Dia (Direzione investigativa antimafia) invia al Parlamento ogni sei mesi (il documento fa riferimento al 2° semestre del 2019).

La Dia, in un recente rapporto, ha rilevato che le principali consorterie foggiane hanno tutte confermato il massimo interesse verso la gestione (diretta o per il tramite della delinquenza comune) del mercato degli stupefacenti, che vanno dalla produzione e l’approvvigionamento, allo spaccio ed alla distribuzione, anche extraregionale, confermando un’evoluzione del fenomeno mafioso foggiano verso posizioni paritetiche con altre organizzazioni più strutturate. Oltre al traffico degli stupefacenti, i settori in cui risultano operare le organizzazioni mafiose foggiane (che, anche nel semestre in esame, hanno dimostrato una grande disponibilità di armi), sono le estorsioni e l’usura, che vengono esercitate anche attraverso una pressante azione intimidatoria, soprattutto nei confronti degli operatori del tessuto socio-economico (commercio, edilizia, turismo e agricoltura).

La terra di Foggia, che nel recente passato conquistò il poco desiderabile record di provincia con il più alto numero di reati estorsivi in Italia, offre un panorama di stratificazione territoriale che porta a distinguere tre distinte tipologie di malavita organizzata: la mafia foggiana, che ha il suo epicentro nel capoluogo e si allarga al suo hinterland, la mafia garganica che opera nei territori di San Nicandro garganico e Apricena, e la mafia di Cerignola, che include i territori di Trinitapoli e San Ferdinando di Puglia. Queste organizzazioni, pur avendo alcuni elementi in comune con le mafie tradizionali ⎼ Camorra, ndrangheta e Cosa Nostra ⎼ non sono riconducibili a nessuna di esse perché hanno rielaborato in maniera autonoma la pratica dell’associazionismo segreto di tipo criminale, basandola su modalità di azione, comportamenti e strategie operative moderne e molto violente.

La forza di questa mafia è che è diversa dalle altre organizzazioni criminali pugliesi: ha saputo mettere insieme un binomio vincente. Hanno saputo coniugare la tradizione con la modernità. La tradizione è quella del familismo mafioso, tipico della ndrangheta calabrese. Il vincolo di mafia e il vincolo di famiglia diventano la stessa cosa. Queste organizzazioni non fanno le affiliazioni. Non fanno i giuramenti. Non fanno i battesimi. Non ci sono riti di ingresso. Non c’è nessun salto di appartenenza: far parte della famiglia mafiosa e di quella biologica è la stessa cosa. Questo spiega l’assenza di collaboratori di giustizia. Se rompono il patto la famiglia li molla e restano soli.

Il clima da Far West – che la malavita foggiana ha inflitto al territorio – ha creato una condizione di panico nella popolazione, abitata da un sentiment in cui angoscia e rabbia si combinano in una miscela esplosiva che non riesce a trovare sbocchi istituzionali convincenti. Peraltro, il quadro occupazionale della provincia non è affatto incoraggiante, nonostante la grande tradizione del settore agro-industriale e la pur valida proposta turistica ed enogastronomica del Gargano e dei borghi del sub-Appennino: come si fa a fare turismo sano e moderno nell’epicentro della mafia garganica?

Situazione irreversibile e dannata, dunque? Ovviamente no. Innanzitutto, perché non siamo di fronte ad una organizzazione criminosa di impianto storico che trovi una forma di penetrazione sociale così come le tre mafie meridionali, che hanno offerto nel corso della loro (ahimè) lunga presenza territoriale anche fenomeni di “patronage” criminale alle comunità, occupando lo spazio lasciato vuoto dallo Stato. Siamo di fronte a bande di paese che stanno compiendo il balzo in avanti verso le pratiche estorsive organizzate e l’allargamento del business criminale verso attività più remunerative, come droga e prostituzione. Dunque, è una struttura organizzativa ancora in coming, non consolidata come nelle altre tre mafie e, ciò che è più rilevante, che non trova alcun sostegno nel corpo sociale (e nella politica, se non per episodi minori ed isolati).

E non è cosa da poco. Ma, per poter intervenire con qualche possibilità di successo, occorre innanzitutto prendere coscienza dell’esistenza del problema, senza rimuoverlo o derubricarlo a ingiuria minore. E poi è necessario richiudere il cerchio del circuito Stato-cittadini: il senso dell’abbandono, dell’estraneità, della lontananza, ricordiamolo, ha reso fecondo il terreno di coltura delle altre mafie, quelle “storiche”. Alla politica nazionale e locale si chiederebbe meno inutile chiacchiericcio e più fattualità, soprattutto nel farsi facilitatrice per le occasioni di sviluppo, unico vero antidoto al degrado.

La crisi economica ha impoverito ulteriormente il territorio, la stessa presenza di una mafia così violenta e così radicata ha impedito che il tessuto produttivo uscisse dalle vecchie dinamiche, e allo stesso modo le risorse che lo Stato investe finiscono spesso dirottate ad opera delle varie consorterie criminali. L’intervento repressivo non basta: investire nella scuola e nell’Università, a Foggia come in tutto il territorio nazionale, significa rendere possibile nel concreto il ruolo sociale di queste istituzioni. Garantire processi partecipativi a studentesse e studenti significa contrapporre il protagonismo delle generazioni più giovani alla prevaricazione mafiosa.

(*) Centro studi Livatino


di Daniele Onori (*)