Nobel per la pace a giornalisti d’inchiesta

Uno straordinario tributo al giornalismo. Soprattutto quello d’inchiesta che va alla ricerca delle verità più scomode. I due paladini coraggiosi che sono stati premiati dal Comitato norvegese, il russo Dmitri Muratov e la filippina naturalizzata americana Maria Ressa, rappresentano la punta di un giornalismo che non ha paura di affrontare le sfide per far prevalere la libertà d’opinione e la democrazia. Un riconoscimento che va a tante redazioni impegnate a far prevalere la libertà d’espressione che è alla base di ogni confronto civile. Per i due giornalisti il Nobel arriva al raggiungimento della maturità (59 anni l’uno, 58 l’altra) dopo aver fondato la testata russa Novaya Gazeta (di cui è azionista al 10 per cento l’ex premier Michail Gorbačëv) e la testata online indipendente Rappler. Due guardiani della verità con il loro assiduo lavoro e che il Nobel gli dà forza per continuare la lotta per la verità e per uscire dall’oscurità. Il primo pensiero di Muratov è stato per la giornalista Anna Politkovskaja uccisa nel 2004, per i sei redattori della Novaya Gazeta uccisi per aver svolto il loro lavoro con determinazione e i 300 giornalisti uccisi in Russia a partire dal 1993, anno della fine dell’Urss. I dati delle uccisioni sono contenuti nell’archivio della Federazione mondiale dei giornalisti (Ifj).

Maria Ressa, di origine filippina, divenuta cittadina Usa per aver sposato un italo-americano ha subito undici processi soprattutto in conseguenza delle sue inchieste sulle esecuzioni extragiudiziarie di spacciatori e tossicodipendenti ordinate dal presidente Duarte. Le inchieste erano la loro passioni giornalistiche fin da quando Muratov lasciò con altri 49 colleghi il quotidiano Komsomolskaya Pravda durante gli scontri tra il presidente Boris Eltsin e il Parlamento e Maria Ressa corrispondente dal sud-est asiatico per l’americana Cnn. La motivazione del Nobel per la pace riassume il talento e il coraggio dei due giornalisti che in più occasioni hanno rischiato la vita. “Il giornalismo, è scritto, libero, indipendente e basata sui fatti serve a proteggere dall’abuso del potere, dalle bugie e dalla propaganda di guerra”. Il Comitato di Oslo ha premiato gli sforzi per salvaguardare la libertà d’espressione che è una delle condizioni per la libertà e la pace.

In Russia l’anno più sanguinoso per la categoria è stato il 2004 quando vennero uccisi ben 54 giornalisti, senza contare l’aumento delle aggressioni e i processi per diffamazione. E mentre il portavoce del premier Putin Dmitri Peskov si congratulava con Muratov per “il suo talento e coraggio” il ministro della Giustizia includeva 9 giornalisti nel registro dei “media agenti stranieri per attività politiche”. Sono decine i reporter russi picchiati brutalmente per il loro lavoro. Uno di questi casi riguarda il giornalista freelance di Radio Radicale Antonio Russo, ucciso e torturato alla periferia di Tbilisi in Georgia nel settembre 2000 mentre stava documentando le atrocità della guerra in Cecenia. Russo è stato l’ultimo giornalista occidentale che rimase in Kosovo durante i bombardamenti Nato e a documentare la “pulizia etnica” dell’esercito serbo. Sono 50, secondo Reporter senza Frontiere, i giornalisti uccisi nel mondo durante il 2020. Negli ultimi 10 anni sarebbero 880 i reporter che hanno perso la vita per aver raccontato la verità. Il paese con il più alto tasso di assassinati è il Messico, seguito dagli Stati Arabi.

Aggiornato il 11 ottobre 2021 alle ore 10:06