Divieto di alterare la destinazione dei beni comuni

La questione dell’uso dei beni comuni in ambito condominiale, trova la sua principale fonte normativa nell’articolo 1102 del Codice civile, il quale prevede, in particolare, che “ciascun partecipe può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca ad altri partecipanti di farne parimenti uso”. In particolare, di recente, ci siamo occupati di quest’ultimo divieto (cfr. Cn novembre 2020). Ciò che interessa, ora, è approfondire, invece, l’altro limite posto dalla norma: il divieto di alterazione della destinazione del bene comune.

Occorre, allora, aver presente che secondo la giurisprudenza sussiste “alterazione” dei beni comuni solo allorché le modificazioni apportate a tali beni rendano impossibile o comunque pregiudichino apprezzabilmente la loro funzione originaria, e non già quando l’utilità tratta dal singolo condòmino si aggiunga a quella originaria, cioè quando il godimento del singolo condòmino, pur potenziato e reso più comodo, lasci immutata la consistenza e la destinazione originaria (in tal senso, cfr., fra le altre, Cassazione, sentenza n. 11936 del 23.10.1999). Sul punto la dottrina ha anche sottolineato come non sia indispensabile che la cosa sia attualmente in funzione, in relazione alla sua destinazione, qualora persista la possibilità di ripristinarne l’originaria funzionalità. Quanto alla “destinazione” che ciascun partecipe non può alterare, secondo i giudici questa deve essere determinata attraverso elementi economici, giuridici e di fatto (Cassazione, sentenza n. 4397 del 22.11.1976).

In argomento la dottrina ha tenuto a precisare come non possa ragionarsi in astratto della destinazione della cosa, per sindacarne l’uso fattone dai condòmini, occorrendo, invece, vedere quale destinazione, in concreto, i condòmini le abbiano riconosciuta ed impressa.

In particolare, è stato osservato come questi, d’accordo tra di loro, possano sempre validamente imprimere alle parti comuni una destinazione specifica, anche non conforme alla normale funzione economico-sociale della cosa, e come ogni condòmino, allorché ciò accada, abbia diritto di fare uso della cosa comune in conformità ad essa. Va pure precisato, però, che l’uso della cosa comune da parte del singolo condòmino trova un ulteriore limite, oltre che in un regolamento di condominio di origine contrattuale (nonché nell’ovvia e fondamentale esigenza di non pregiudicare i diritti degli altri comproprietari su beni di loro esclusivo godimento), anche nel disposto dell’articolo 1120 del Codice civile, quarto comma.

(*) Presidente Centro studi Confedilizia

Aggiornato il 14 gennaio 2022 alle ore 21:36