Rapporto Transparency: l’Italia è un po’ meno corrotta

L’Italia risulta ancora un Paese corrotto. Anche se in misura minore rispetto al passato. Lo sforzo dell’ultimo decennio ha registrato dei risultati positivi. Ma non è ancora abbastanza. Almeno secondo il Corruption Perceptions Index (Cpi) 2021, l’indice di percezione della corruzione di Transparency International, che ogni anno assegna un punteggio a ciascuno dei 180 Paesi analizzati in base al loro livello di percezione della corruzione. Secondo Delia Ferreira Rubio, presidente della Ong, il rispetto dei “diritti umani è più che auspicabile nella lotta alla corruzione. I modelli autoritari distruggono i controlli e gli equilibri indipendenti e fanno dipendere l’azione contro la corruzione dai capricci di un’elite”, osserva.

Daniel Eriksson, direttore generale di Transparency International, sottolinea che “in contesti autoritari in cui governo, affari e media sono controllati da pochi, l’attivismo dei movimenti sociali è la risorsa ultima per contrastare il potere”. Nel suo rapporto, l’Ong esorta i governi a rispettare i propri impegni nella lotta alla corruzione e nel rispetto dei diritti umani e invita le società a chiedere il cambiamento. “Sarà l’influenza di educatori, imprenditori, studenti e persone comuni di ogni ceto sociale a fare in modo che i potenti debbano rispondere delle oro azioni”.

Il nostro Paese è passato da 42 punti nel 2012 ai 56 attuali con “un significativo” miglioramento. L’Italia, osserva Transparency International, ha tratto vantaggio dalle riforme, anche se rimane tra i Paesi che hanno un punteggio meno brillante e sarebbe necessaria una riforma sulle regole di chi ha il controllo effettivo delle società o dei trust. Per il rapporto bisogna sanare “urgentemente i gap legislativi delle attività di lobbying”. L’Ong, che ha pubblicato il Corruption Perceptions Index (Cpi) 2021, avverte inoltre che se i governi continueranno a utilizzare la pandemia di Covid-19 per erodere i diritti umani e la democrazia, la corruzione potrebbe peggiorare a un ritmo più rapido. L’organizzazione che ha sede a Berlino denuncia che “molti Paesi hanno usato la pandemia come scusa per limitare le libertà fondamentali ed eludere il sistema di controlli e contrappesi”.

Nella classifica dei Paesi meno corrotti, in testa figurano Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda. Transparency assegna un punteggio a ciascuno dei 180 Paesi valutati in base al loro livello di percezione della corruzione. La media globale rimane a 43 punti per il decimo anno consecutivo, anche se due terzi dei paesi non riescono a fare passi in avanti e 27 ottengono il punteggio più basso della loro storia. Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda, tutte e tre con 88 punti su 100, sono in testa alla classifica, mentre Somalia (13), Siria (13) e Sud Sudan (11) hanno ancora i punteggi più bassi dell’indice. In quest’ultimo decennio, 154 Paesi hanno subito un deterioramento della percezione della corruzione o non hanno compiuto progressi sostanziali. Particolarmente preoccupante è la situazione in alcune regioni come il Centro America, dove l’autoritarismo sta crescendo, per esempio il Nicaragua o El Salvador. Dal 2012 sono caduti nell’indice 23 Paesi, tra cui alcune economie avanzate, come Australia (73), Canada (74) e Stati Uniti (67), che per la prima volta non sono più tra i 25 più in alto nella classifica. Tra i Paesi che invece hanno notevolmente migliorato i loro punteggi, Estonia (74), Seychelles (70) o Armenia (49). Nel 2021, tra le grandi potenze, oltre agli Stati Uniti, che mantengono lo stesso punteggio dello scorso anno, la Cina sale di 3 punti, con un punteggio di 45 rispetto ai precedenti 42, mentre la Russia scende da 30 a 29. Il rapporto evidenzia che i Paesi che violano le libertà civili ottengono costantemente punteggi inferiori nell’indice.

Il rapporto denuncia che “l’autocompiacimento nella lotta alla corruzione dà luogo a più gravi violazioni dei diritti umani e mina la democrazia, innescando così una spirale viziosa”. L’erosione dei diritti e delle libertà e l’indebolimento della democrazia sono terreno fertile per il dilagare dell’autoritarismo, che contribuisce ulteriormente ad aumentare la corruzione. Dei 23 Paesi che negli ultimi dieci anni hanno notevolmente peggiorato la propria posizione in classifica, 19 hanno perso punti anche in termini di libertà civili. L’Ong sottolinea che dei 331 omicidi di difensori dei diritti umani registrati nel 2020, il 98 per cento è avvenuto in Paesi con punteggi inferiori a 45. Spiccano le Filippine, che ottengono un punteggio di 33, proseguendo il declino iniziato nel 2014 con l’ascesa al potere di Rodrigo Duterte. Anche il Venezuela registra il suo punteggio più basso fino a oggi in questo indice, con soli 14 punti, perché il regime di Nicolás Maduro ha messo a tacere il dissenso tra i suoi rivali politici, giornalisti e persino operatori sanitari”.

Aggiornato il 25 gennaio 2022 alle ore 12:15