Per un amico in più

Non ce ne rendiamo conto, ma la modernità induce la retorica come falso tributo obbligatorio al concetto di tradizione che ci hanno inculcato. Un esempio: l’amicizia è diventata un sacro luogo comune di cui spesso ci sfugge il significato, ma è meglio non farsi domande e continuare nell’equivoco.

Confondiamo la durata con la realtà, e abbiamo come punto fermo il concetto di vecchi amici, quelli con i quali abbiamo vissuto i famosi bei tempi: a loro ci legano tanti ricordi, compresi i debiti di riconoscenza per quel compito che ci hanno passato, quella ragazza che ci hanno aiutato a conquistare, quella pizza del sabato che ci pagavano quando avevamo finito le monete. Ricordarli è bello, l’affetto per loro è sacrosanto, ma quando li rivediamo ci diamo del tu parlando di mondi spesso diversi, mentre con le nuove conoscenze inizialmente ci diamo del lei ma navighiamo nella stessa acqua.

Perché abbiamo cambiato età, città, qualche volta Continente, modo e scopi di vita, e dentro di noi un istinto vorrebbe che tutti quelli che amiamo avessero fatto il nostro stesso percorso, poiché guardiamo la stessa tv e sguazziamo fra le stesse reti Internet. Invece le strade si sono separate, l’affetto amicale si riduce a nobile icona, mentre noi e i vecchi ragazzini procediamo per strade parallele, che raramente si incontrano. La retorica dell’amicizia è una delle più inscalfibili, perché è sacra per tabù, e non osiamo mettere nulla in discussione. Compagni di scuola e d’arme a parte, negli anni Cinquanta ci si dava del lei, e c’erano amiche intime i cui mariti solo dopo anni passavano timidamente al tu. Ma solo fra loro, mai con la moglie dell’altro. Era tutto più lento, e questo faceva pensare che, dopo il faticoso abbattimento di formalità estenuanti, l’amicizia dovesse essere eterna per grazia divina. Ora il tu è quasi automatico alla reciproca constatazione di empatia. E la confidenza spontanea, distante dal birignao falsamente ecumenistico dei salotti, nasce da sorrisi contagiosi che rivelano voglia di nuove esplorazioni, argomenti, ironie, al riparo da obblighi di “ricordi quella volta”, micidiali perché ci fanno segnare il passo.

I racconti ammantati di nostalgia sono una prigione volontaria di chi non vuole uscire da cancelli di ferro appena accostati, e servono come alibi per nascondere la paura del nuovo più che della ripetitività mortale. Tutto questo non significa rompere con la propria storia, perché anche il passato può rinnovarsi. Nuovi punti di vista possono scaturire anche fra compagni di banco arrivati a sessant’anni. Ma le trappole sono i pigri automatismi mentali che impediscono di ammettere che una coppia di pazzi scatenati potrebbe regalarci spunti straordinari, che ci rimettono in gioco all’infinito. Spunti seri o giocosi, da elaborare e rilanciare a loro stessi e ad altri. Solo così non esisteranno più vecchi, sacri amici e nuove conoscenze superficiali, ma persone che stimolano i gangli o che li fanno addormentare per sempre. In nome di nulla marmorei.

Aggiornato il 22 aprile 2022 alle ore 09:23