La Riglobalizzazione

Se dovessi creare una categoria concettuale per definire l’epoca verso la quale ci inoltriamo con estrema pesantezza di determinazioni, la definirei, tale epoca, Neoglobalizzazione. Riglobalizzazione, piuttosto. La globalizzazione, ne ho scritto abbastanza, fu il derivato della potenza dei mezzi produttivi i quali avevano bisogno di invadere il mondo essendo alla loro portata. Invaderlo in varie diramazioni: presa di materie prime sfruttamento di lavoro, investimento di capitali, commercio mondiale e quanto altro di più, ma soprattutto era l’esercizio del dominio del capitalismo occidentale, insomma una prosecuzione realmente mondiale del capitalismo come nella sua formulazione originaria.

Sia Adam Smith sia il Positivismo sia Karl Marx, hanno evidenziato ampiamente questa obbligata tendenza del capitalismo, e fu così. La globalizzazione, una volta sconfitto il sistema sovietico, ritenne di avere il mondo a disposizione, ritenne di avere il mondo a disposizione compresa la Russia e compresa la nuova e antica società quella cinese (e quella indiana). Fu la marcia solenne del capitalismo. Dalla Russia le materie prime, dalla Cina e dall’India lavoro a basso costo. Mai era accaduto un fenomeno tanto radioso e universale. Ma lo sappiamo tutti, la Russia ritornò nazionalista e volle per sé le proprie materie prime, esportarle a proprio vantaggio. La Cina e anche l’India accumularono capitali dagli investimenti stranieri e costruirono un loro capitalismo.

Fu un evento inaspettato e sconvolgente perché le merci a basso costo le producevano tali Paesi, le materie prime a basso costo le avevano tali Paesi specialmente la Russia. Ma il capitalismo occidentale non si perse d’animo, ritenne di poter controllare tali Paesi, anzi, utilizzare le materie prime russe e il lavoro a basso costo cinese e indiano. Insomma pur con qualche correzione rimaneva il capitalismo occidentale dominante. Non fu così, non è per niente così. La Russia e la Cina soprattutto cominciarono ad essere disubbidienti. Non accetteranno che il capitalismo occidentale, specie quello anglosassone, Inghilterra e Stati Uniti, pretendesse di reggere e guidare il pianeta. Insomma cercarono di avere, oltre che un ruolo economico, un ruolo politico. E cominciano i problemi, gravissimi. Sembra che il mondo sia troppo piccolo per la dimensione di questi colossi.

La Russia inonda di materie prime, la Cina dilaga di merci, l’India fa quel che può (e può molto) e gli Stati Uniti temono che lo spazio per loro si restringa. È una questione consustanziale del capitalismo, la lotta di mercati, di espansione, ma stavolta é sterminata nella potenza e nel contrasto per avere spazio. Le multinazionali coprono il mondo, hanno bisogno di materie prime, di mercati, e quando gli Stati Uniti si rendono conto che non hanno il dominio delle materie prime, meno ancora quello dei mercati, si scoprono vulnerabilissimi. E siamo all’oggi. Cosa hanno fatto i detentori dei capitali occidentali per rimediare a problemi di occupazione, di domanda, di automazione, insomma alla difficoltà di creare lavoro e mantenere alta la domanda? Debiti, sovvenzioni. Con un indebitamento appunto da sommatoria di galassie.

Si può dire che l’economia degli ultimi periodi sia stata tutta in debito. Non c’è l’ombra di un intervento sistemico. Le tecnologie producono di più, suscitano disoccupazione da automazione e tutto resta come prima. Che si fa eventualmente per chi non ha lavoro? Si dà un contributo. E come si dà un contributo? A debito. E che significa questo? Che lo stato si indebita. Ma se il lavoro non c’è la disoccupazione resta e il debito aumenta. Se poi aggiungiamo eventi come la pandemia, il debito diventa una cima a picco in alto, ma il fenomeno sarebbe accaduto comunque, non lo si vuol capire o si finge di non capire. Il capitalismo occidentale, specie quello anglosassone, ha però altre vie di scampo, ritiene: mettere dazi in maniera che le nazioni che producono a basso costo non si immettano nella nostra economia e, ultimissima trovata, impedire lo smercio delle materie prime, questo riguardante specialmente la Russia.

Ma la Cina e la Russia oggi non sono nazioni che obbediscono, si sentono forti a sufficienza da sfidare il domatore anglosassone, il quale non é per nulla disposto a rinunciare alla frusta. Lo spettacolo odierno. Gli Stati Uniti volevano fare dell’Ucraina una leva pressoché all’interno della Russia e hanno sanzionato ampiamente la Cina, e quando la Russia ha reagito a questo tentativo con la guerra, l’occasione è stata perfetta per sanzionare anche la Russia e impedirle l’esportazione di materie prime in specie all’Europa. Con la logica e la mentalità del domatore gli Stati Uniti ritenevano di avere vittoria rapida con le sanzioni ed in effetti se si impedisce ad un Paese di esportare. Il Paese è strangolato, ma gli effetti delle determinazioni sono pressoché sempre più diramati di quanto immaginiamo e, siccome le materie prime sono fondamentali, nell’istante in cui ci proibiamo di acquistarle, sanzioniamo anche noi.

E non basta, se le sanzioniamo abbiamo due effetti sicuri: l’aumento dei costi e altri Paesi che acquistano, esattamente quello che sta accadendo. E non basta, vi è un ulteriore effetto: che il tempo invece di favorire i sanzionatori favorisce i sanzionati per un motivo elementare, che i sanzionatori le materie prime non ce l’hanno e i sanzionati avendole, bene o male le vendono. È un perfetto suicidio, ci sono tutte le caratteristiche del suicidio, tranne la volontà. Noi non volevamo suicidarci, volevamo uccidere, però così come abbiamo agito ci stiamo sgradevolmente rovinando. Inflazione, tassi accresciuti, il che produrrà sicuramente recessione, stagflazione. Tra l’altro con un effetto politico gravissimo. L’Europa teme di essere abusata dagli Stati Uniti, giacché gli Stati Uniti non hanno bisogno delle materie prime nel campo energetico e l’Europa sì, il che provocherà tensioni in Occidente.

Tanto per continuare, gli americani, avvezzi ad acquistare a credito accresceranno linflazione, e il rimedio dellaumento dei tassi avrà risultanze innominabili. Ma ho detto che siamo costretti al Riglobalismo. Che vuol dire Riglobalismo? Non mi convincono le aree economiche chiuse, l’area di Paesi liberali democratici, quella dei Paesi autoritari o l’area occidentale, asiatica, non credo che possa reggere. Ormai la globalizzazione è inevitabile. E allora? Decidersi al matrimonio o al concubinaggio. Tu signora Russia sei uno stato autoritario? Non mi piaci, però io ho bisogno delle tue materie prime, sei una bella ragazzona, e sia, commercio con te. Tu gentilissima Cina, sei uno stato totalitario, non ti sopporto minimamente, però siccome esporti ma anche importi, anche senza guardarci, commerciamo. Più facile rivolgendosi all’India.

Qualcuno dirà, ma come é concepibile una cosa del genere? I Paesi non democratici devono essere combattuti, sanzionati, esclusi! Esclusi da che, se sono a questo mondo? Ecco il punto. Noi abbiamo a che fare con la realtà non con i sogni e nella realtà la Russia c’è, la Cina esiste. Se qualcuno ritiene di poterle eliminare senza una guerra mondiale offra la soluzione, oltre il dialogo. O guerra o dialogo. Se si crede di poterle eliminare con la guerra mondiale decida per sé e la faccia, purché consenta a chi non la vuol fare di non farla. Ma se è mondiale è molto difficile, ed allora è giusto dissentire. Se poi siamo scrupolosissimi nei confronti dei sistemi democratici e coerenti, spieghiamo perché gli Stati Uniti stanno cercando accordi con il Venezuela assolutamente indemocratico. Insomma per dare un minimo di possibilità alla convivenza possiamo rinunciare all’idea che la Russia e la Cina non devono esistere?

Talvolta si ha l’impressione che si parli di questi due Paesi come cose di cui noi possiamo disporre a nostra volontà, basta disprezzarle ed usare termini oltraggiosi, ma quando dalle parole si passa ai fatti si sbatte contro il muro dell’esistenza degli altri che ormai non sono più disposti all’obbedienza. Può esistere un mondo dove coesistere? Possiamo tentare? Ma la crisi non nasce soltanto dalle materie prime o dal mercato. Vi è unesplosione nucleare nei sistemi economici. Il profitto non suscita occupazione. Il profitto può accrescersi addirittura senza o contro loccupazione. La domanda viene surrogata da bonus, soccorsi, largizioni, tutto in debito. Ciò genera inflazione. Allora si interviene aumentando i tassi, ma non si elimina il fatto che la domanda viene incrementata da persone che non lavorano, soccorse, a debito, quindi il motivo dellinflazione resta, è strutturale.

Se la domanda non nasce da persone occupate, che lavorano, non vi è scampo. Avremo masse disoccupate o sottoccupate sovvenzionate con un debito inflativo da frantumare ogni economia. In quanto antieconomico. Consumi artificiali. Sovvenzionati. La Rigoblalizzazione dovrebbe finalizzarsi alla convivenza. A dare lavoro e quindi suscitare la domanda da parte di gente che produce ricchezza non di nullafacenti indebitanti. Il problema di quel grandioso Paese, gli Stati Uniti, è clamoroso, avanzato, battistrada: suscita la domanda in debito, non con loccupazione remunerata. Ma è inconcepibile permettere gli acquisti a lungo termine a milioni di persone che non producono. Supporre di risolvere rovinando le altrui economie è una rovina generalizzata.

Sia chiaro, gli Stati Uniti anticipano problemi che sperimenteremo tutti: come incrementare la domanda senza largire denaro a vuoto a gente che non ha lavoro. La vecchia strada è largire a debito. La nuova strada è finalizzare il profitto alloccupazione. Limpresa esiste per dare lavoro remunerato. Ed il profitto? Appunto, profitto per dare lavoro. Vuol dire che se il profitto dà profitto ma non occupazione il sistema crolla. Un capitalismo che ha per scopo loccupazione? No. Il profitto per l’occupazione. Sì, bisogna esplorare.

(*) Nella foto è ritratto Adam Smith.

Aggiornato il 19 maggio 2022 alle ore 12:49