Il “diritto all’oblio” del malato oncologico

lunedì 4 luglio 2022


Lo scorso 10 maggio è stato presentato in Senato, su iniziativa della senatrice Paola Binetti e di numerosi altri firmatari, il Disegno di legge Disposizioni in materia di diritto all’oblio delle persone che sono state affette da patologie oncologiche. Esso costituisce l’esito della riflessione e della preparazione di un gruppo di lavoro formato da Maurizio Campagna, avvocato, componente del Comitato scientifico della Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia) e dei professori Alessandro Candido e Mauro Paladini, entrambi dell’Università di Milano Bicocca, oltre che del senatore Maurizio Sacconi.

È noto che il 51 per cento delle donne e il 39 per cento degli uomini europei che hanno avuto un tumore guariscono, e in meno di 10 anni la gran parte delle persone guarite, a parità di condizioni, torna ad avere un’aspettativa di vita analoga a quella di chi non si è mai ammalato. Dopo 5 anni dalla diagnosi possono ritenersi “guarite” le persone a cui era stato diagnosticato un tumore del testicolo o della tiroide; dopo meno di 10 anni le persone con tumori dello stomaco, del colon retto, dell’endometrio e il melanoma. Lo studio coordinato dal Centro di riferimento oncologico (Cro) di Aviano, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, pubblicato sulla prestigiosa rivista International Journal of Epidemiology, evidenzia che sono molti i tumori dai quali si può guarire. Tale percentuale in Italia si aggira attorno al 27 per cento e corrisponde a quasi un milione di persone.

Costoro, pur risultando guariti, subiscono tuttavia discriminazioni sul piano economico-sociale, in particolar modo per ciò che concerne l’accesso ai servizi bancari (per esempio, per ottenere un prestito, o per contrarre un mutuo) e assicurativi (si pensi alla necessità di sottoscrivere o mantenere una copertura assicurativa); senza considerare la valutazione del rischio da parte delle compagnie assicurative, nonché quella della solvibilità da parte degli istituti di credito: è una prassi molto diffusa tra le banche, infatti, quella di subordinare la concessione di un mutuo alla sottoscrizione di una polizza assicurativa sulla vita da parte del richiedente.

Ciò si pone in aperto contrasto con alcuni principi fondamentali della nostra Costituzione. Su tutti, basti richiamare il dovere di solidarietà (anche) economico-sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione, o il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, nella sua doppia accezione: formale e sostanziale. Di fatto, la guarigione non coincide ancora con il ripristino di tutte le condizioni della persona preesistenti alla malattia, non solo sul piano clinico, ma anche su quello sociale, economico e professionale. La concezione più evoluta di “guarigione”, speculare a quella di salute quale stato completo di benessere fisico, psichico e sociale, trova quindi ancora molti ostacoli alla sua piena affermazione.

Per assicurare un reale ed effettivo ritorno alla vita dopo il cancro delle persone che vivono in Italia e che possono essere definite guarite è allora necessario realizzare un intervento normativo che consenta loro di non essere discriminati. La Francia è stato il primo Paese a stabilire per legge che le persone con pregressa diagnosi oncologica, trascorsi dieci anni dalla fine dei trattamenti, o cinque anni per coloro che hanno avuto il tumore prima della maggiore età, non siano tenute ad informare gli assicuratori o le agenzie di prestito sulla loro precedente malattia. A oggi, dopo la Francia, anche Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo hanno adottato una disciplina analoga e altri Paesi stanno affrontando questa problematica.

In considerazione dei numeri del cancro e del suo elevatissimo impatto sociale, la Commissione europea, con Comunicazione al Parlamento ed al Consiglio del 3 febbraio 2021, ha adottato il Piano europeo di lotta contro il cancro. La Commissione europea si impegnerà ad esaminare attentamente le pratiche nel settore dei servizi finanziari e ad avviare un dialogo con le imprese.

Dall’Europa giungono ulteriori indicazioni. Nell’ambito del nuovo Programma per la ricerca Orizzonte Europa, merita di essere segnalata la missione contro il cancro, articolata in 13 raccomandazioni, due delle quali richiedono esplicitamente ai Paesi membri di realizzare una tutela del “diritto all’oblio”, ovvero del diritto, per una persona che ha avuto una diagnosi di cancro, di non doverla dichiarare.

Il 16 febbraio 2022 il Parlamento europeo in sessione plenaria ha adottato il progetto di relazione della Commissione speciale Beca, che al punto 125 reca: “Il Parlamento (omissis…) chiede che entro il 2025, al più tardi, tutti gli Stati membri garantiscano il diritto all’oblio a tutti i pazienti europei dopo dieci anni dalla fine del trattamento e fino a cinque anni dopo la fine del trattamento per i pazienti per i quali la diagnosi è stata formulata prima dei 18 anni di età”.

In conclusione, le persone guarite dal cancro, trascorso un certo numero di anni dall’ultima evidenza di malattia, non devono subire alcuna discriminazione in virtù della loro pregressa diagnosi, tenuto conto che, con il trascorrere del tempo in assenza di recidive, il rischio di salute diminuisce progressivamente fino a scomparire. Ecco allora la ragione che ha spinto chi scrive, unitamente a Favo, al senatore Maurizio Sacconi e ad altri studiosi, a elaborare il progetto di legge recentemente presentato in Parlamento. Si tratta di una battaglia culturale e di civiltà, prima ancora che normativa.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino


di Maurizio Campagna, Alessandro Candido, Mauro Paladini (*)