Il dramma dell’aborto tra diritto e delitto

lunedì 4 luglio 2022


Il diritto vigente presuppone il diritto naturale, che è recepito dalla coscienza prima ancora di qualsivoglia regola codificata, postulando una condizione di esistenza in natura, che precede la costituzione dello Stato il quale è – viceversa – una costruzione convenzionale. Pertanto, lo Stato trova ragione e limite nel fine stesso per il quale è stato istituito: provvedere a difendere i diritti naturali alla vita, alla libertà e alla proprietà, a esso preesistenti. Nel XX secolo, Francesco Carnelutti (1879-1965) vagheggiò come società ideale un consorzio dove sarebbe bastata la spontanea adesione alla comune morale naturale per vivere armoniosamente; ma poiché nel tempo breve la conflittualità di interessi non poteva risolversi con l’elevata coscienza morale dell’umanità intera, ecco che doveva intervenire con la forza delle proprie sanzioni il diritto, che, secondo la testuale definizione del Carnelutti “è un surrogato della libertà e, surrogandola, la sopprime. Il diritto c’è sempre stato perché l’umanità, dopo la caduta, ha dovuto cominciare dal basso, ma non sempre (il diritto) ci sarà, perché procede verso l’alto”.

Con la Costituzione italiana si è avuto un nuovo e lungimirante modello, non più limitato a dettare regole valide per la collettività nel tradizionale ruolo dello Stato quale tutore della libertà e di garante dell’ordinato vivere civile (cosiddetto Stato di diritto), bensì come promotore dello sviluppo della personalità di tutti i cittadini, rendendosi così direttamente fautore della crescita del benessere collettivo. A differenza di altri modelli europei, la Costituzione italiana è basata infatti su di una serie di principi ispiratori, come i diritti fondamentali della persona umana – che essa non ha creato, ma dei quali si è resa funzionalmente “ricognitiva” in quanto a essa intrinsecamente preesistenti, e quindi immodificabili da qualsivoglia riforma della Costituzione medesima. Questa è la cornice etico – giuridica nella quale ci sembra opportuno inquadrare il tema dell’aborto, recentemente tornato alla ribalta della cronaca mondiale.

È noto che uccidere un essere umano è un delitto presso tutti gli ordinamenti civili, ed è un peccato mortale nella religione cristiana. Ma sia nel campo laico che in quello religioso, l’uccidere per legittima difesa è moralmente lecito e giuridicamente consentito. Questa premessa vale anche per una riflessione non manichea sull’aborto, che – come è noto – consiste nell’arrestare un processo di vita più o meno avanzato, con conseguenze morali e psicologiche più incisive nel secondo caso. Il tema in questione, è tornato di attualità in seguito alla decisione della Corte suprema degli Usa, che ha abolito dopo mezzo secolo la precedente sentenza sul diritto all’aborto. Il Texas e il Missouri sono stati i primi a vietarlo, ma il cattolico presidente Joe Biden ha parlato di un “Tragico errore per un’ideologia, e ha affermato che “la Corte suprema Usa ha portato via un diritto costituzionale”, avvertendo anche che adesso “sono a rischio la salute e la vite delle donne nel Paese”.

I singoli Stati saranno comunque liberi di applicare le loro leggi in materia. L’Onu ha affermato che “abolire il diritto ad abortire è un colpo terribile ai diritti umani delle donne”. Ora, la decisione spetta al Congresso, ma nel frattempo il presidente ha incaricato il segretario alla Salute di garantire l’accesso delle donne alla pillola abortiva e altri farmaci per “l’assistenza riproduttiva” approvati dalla Food and Drug Administration. E non solo: le donne devono essere libere di potersi trasferire in un altro Stato federale, che consente l’interruzione della gravidanza. In Italia la disciplina normativa è quella risalente al 1978 (legge n.194), avente come obbiettivo primario quello della tutela sociale della maternità e della prevenzione dell’aborto attraverso la rete dei consultori familiari, nell’ambito delle politiche di tutela della salute delle donne.

Partendo da tali presupposti prudenziali nella materia in parola, la donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Prima di attivare la procedura farmacologica o chirurgica per interrompere la gravidanza, sono previste alcune preliminari cautele, affinché la scelta abortiva non possa considerarsi con leggerezza alla stregua di un qualunque metodo anticoncezionale. È pertanto stabilito l’esame preliminare di possibili soluzioni alternative, quali: l’aiuto alla rimozione delle cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza; l’invito a soprassedere per sette giorni in assenza di urgenza, sia entro che oltre i primi 90 giorni di gravidanza.

A conclusione della panoramica sommariamente illustrata sul tema dell’aborto, riteniamo utile concludere che su argomenti di rilevanza civile, etica e politica, sia doveroso ricordare il principio cardine di Sant’Ignazio da Loyola sul Primato della coscienza, ripreso dall’indimenticabile cardinale Carlo Maria Martini. Egli osservava che al di fuori di una morale convenzionale, occorre riscoprire il senso sostanziale dell’etica nella coscienza del singolo. La morale privata risente della vita consociativa, la qual ultima dipende a sua volta dai comportamenti personali e non soltanto dall’opera esclusiva delle regole del diritto o della proclamazione pubblica dei “massimi valori”. Quello del primato della coscienza è stato un elemento centrale della sua riflessione riguardo al quale affermò con chiarezza inequivocabile: “la coscienza ci fa conoscere quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Una legge fondamentale messa da Dio nei nostri cuori: è il riconoscimento del grande comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, il riconoscimento dei grandi valori – verità, onestà, giustizia, carità – in quanto sono intuiti, compresi e diventano fonti di vita, di giudizio e di azione, di dialogo con Dio e di fronte a Dio”.

Noi, umilmente, ci chiediamo: nel caso di una gravidanza che ponga a rischio la vita di una sposa e madre di altri figli, è lecito lasciare un vedovo e degli orfani, sacrificando la madre per un parto che pone a rischio la vita della gestante? Al lettore l’ardua sentenza. Noi ci limitiamo a osservare che sul tema dell’aborto non ci possono essere “tifoserie contrapposte”, ma solo ponderate riflessioni caso per caso, senza leggerezze e, per converso, senza condanne inappellabili. La coscienza non può essere incasellata in astratte prescrizioni generalistiche. Iddio legge nei cuori.


di Tito Lucrezio Rizzo