Quel 28 dicembre del 1980 i terroristi delle Brigate Rosse riuscirono a sequestrare tutto il carcere di super sicurezza di Trani, in ostaggio furono tenuti gli agenti della polizia penitenziaria e la prospettiva sembrava volgere ad un epilogo drammatico. Un carcere in mano di efferati terroristi, una clamorosa sconfitta dello Stato, il fallimento delle sue Istituzioni. Un momento convulso e drammatico e, per quella occasione, si decise di utilizzare per la prima volta gli uomini del Gruppo d’intervento Speciale dell’Arma dei carabinieri, nato ad ottobre del 1977 proprio per fronteggiare l’emergenza terrorismo in Italia. Tra gli uomini che presero parte alla liberazione del carcere di Trani era presente il “Comandante Alfa", uno dei fondatori del Gis. Con lui ripercorriamo quell’evento e, più in generale, la sua storia di pluridecorato appartenere all’Arma dei carabinieri, le sue attività a favore dei giovani e dei più bisognosi.

Comandante Alfa, grazie di aver accettato il nostro invito a rilasciare questa intervista. Tutto ha inizio nel 1978, quando nacque il Gruppo Intervento Speciale. Ci racconta come avete iniziato?

Ufficiosamente il Gis nasce nell’ottobre 1977, quando venimmo trasferiti dal primo battaglione paracadutisti in una palazzina a fianco e in ristrutturazione. Ufficialmente nasce il 6 febbraio 1978. Noi soci fondatori, o almeno quelli rimasti, ci sentiamo dei pionieri perché la palazzina nella quale ci mandarono era in ristrutturazione, ed era composta da enormi cameroni, senza riscaldamento, senza porte e nemmeno finestre. Si dormiva con le coperte legate con il fil di ferro ancorate alle brande, in quanto a Livorno quando soffiava il libeccio ci portava via le coperte e ogni cosa presente nella stanza. In genere quando si va a dormire ci si spoglia, e si indossa il pigiama; invece, noi ci vestivamo per sopportare il freddo con tutto ciò che era possibile indossare, giubbotti compresi. Oltretutto quando al mattino i muratori iniziavano a lavorare per ristrutturare la palazzina, ci svegliavamo con addosso schizzi di calce dappertutto. Ma tutto questo non ci pesava, perché sapevamo e volevamo fortemente che questo reparto nascesse e diventasse uno dei reparti più efficienti al mondo, come in effetti, poi, è diventato.

Erano tempi in cui il terrorismo aveva messo in ginocchio le istituzioni italiane ed il rapimento Moro sembrava la sconfitta dello Stato.

Infatti, lo Stato si è dimostrato forte facendo delle leggi dure che hanno permesso alle forze dell’ordine di fronteggiare adeguatamente il terrorismo. All’inizio solo lo Stato fu colpito duramente, ma, in seguito all’uccisione del presidente Aldo Moro (un uomo che nessuno di noi dimenticherà mai), si è incentivato ancora di più l’impegno all’antiterrorismo. C’era in ognuno, la ferrea volontà di debellare questo cancro che seminò morte e terrore in quegli anni, periodo in cui nessun italiano si sentiva al sicuro. L’Italia, in quell’epoca buia, ha dimostrato di essere superiore alle meschinità e vigliaccheria dei terroristi, puri distruttori delle democratiche istituzioni.

Quarantadue anni fa, 28 dicembre 1980, a Trani i reclusi delle Brigate Rosse prendono possesso del carcere: da quel blitz è cambiata la storia del Gis?

Certamente, in quanto sono convinto che il Gis nacque in quella data, 28 dicembre 1980 a Trani. Perché l’Italia e il mondo scoprirono l’esistenza di questo corpo speciale che fino ad allora era sconosciuto. In questo modo anche chi doveva fornirci la tecnologia, le armi e l’abbigliamento da quel giorno fu solerte nel consegnarci tutto ciò che serviva. Chi di dovere si rese conto che era nato un reparto in grado di risolvere qualsiasi situazione, anche e soprattutto la più difficile.

Lei è molto legato da un’amicizia profonda al Capitano Ultimo, ci racconta il vostro rapporto?

Con il capitano Ultimo c’è una profonda stima ed un reciproco rispetto, così come dovrebbe essere tra colleghi che hanno contribuito a fare, in piccola parte, la storia dell’Arma dei carabinieri.

Oggi lei è in pensione ma continua a girare l’Italia, per incontrare soprattutto, i giovani. Cosa gli racconta, quali valori condividete?

Intanto dico loro che nella vita non esistono obiettivi irraggiungibili, basta credere fortemente in sé stessi. Poiché se ce l’ha fatta un ragazzo scapestrato del profondo sud, e dal carattere difficile e ribelle come il mio, possono farcela anche loro. I valori che condivido con i ragazzi sono quelli della legalità a tutto tondo e in particolar modo alle problematiche più vicine alla loro età, ad esempio il bullismo, l'abuso di alcool e le droghe.

Lei ha ricevuto innumerevoli encomi e medaglie al merito, una in particolare ha un significato a cui è molto legato?

La decorazione a cui sono particolarmente legato è la Croce d’oro al merito dell’Arma dei carabinieri che testimonia e riassume tutti i miei 47 anni di carriera all’interno dell’Arma.

Ultima domanda ma non per questo meno importante: ci racconti le attività che offre con la sua casa-famiglia, nella quale il fidatissimo “Ombra” ha un ruolo importante.

Ombra è un ragazzo che addestrai molti anni fa ed è diventato un mio stretto e fidato collaboratore del quale non potrei mai fare a meno, non è un carabiniere ma questo non fa alcuna differenza. Per quanto riguarda la casa-famiglia, all’interno ospitiamo famiglie disagiate, ragazzi con varie problematiche di vita ed in ultimo ospitiamo famiglie straniere, alcune fuggite dalla guerra, per lo più con figli piccoli.

Inoltre, nel periodo della pandemia, ma anche ora, aiutiamo persone anziane fornendo loro assistenza a domicilio o accompagnandole ad eseguire visite mediche, a fare la spesa o in farmacia. Spesso le supportiamo anche consegnando loro alimenti ed il necessario per una vita dignitosa. Aiutiamo anche famiglie che non hanno possibilità di sopperire alle esigenze dei loro figli acquistando tutto ciò che è necessario in modo gratuito. Per tutto questo abbiamo ricevuto vari encomi da parte della Croce Rossa, della protezione civile e dai vari sindaci e amministratori dei paesi e città dove abbiamo operato. Ma nulla si può paragonare a quello che ogni giorno riceviamo in commozione, sguardi velati di lacrime e sorrisi da parte di coloro che riusciamo ad aiutare.

Rimane un rammarico ed una profonda ferita che non si rimargina, che continua a sanguinare e a far male. È quella di noi soci fondatori, orfani e vedove di coloro che non ci sono più. Non capiamo perché non siamo stati invitati alla consegna della Bandiera di guerra che, per un reparto come il nostro, è un immenso orgoglio. Comunque, il raggiungimento di questo obiettivo testimonia che se non fossimo esistiti noi, non sarebbe nato il Gis.

Aggiornato il 25 novembre 2022 alle ore 13:04