Giorgia Meloni per le donne vittime: “Impegno totale”

Chiunque abbia ascoltato il videomessaggio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni per la Giornata della violenza contro le donne non può che aver pensato che le opinioni espresse dalla premier sono le stesse che avrebbe potuto pronunciare l’onorevole paladina del Pd ed ex presidente della Camera Laura Boldrini o la più accesa femminista, soprattutto la più sinistra delle sinistre. È fuor di dubbio che Giorgia Meloni si sia espressa con le stesse parole delle più schierate firme rosa della comunicazione: “Non posso non sentire come donna, come presidente del Consiglio donna, l’impegno contro i femminicidi e come donna, madre e figlia non mandare un pensiero a tutte quelle donne che anche in questo ultimo anno hanno perso la vita”.

Poi la promessa sull’impegno totale del governo e delle istituzioni, il proclama sulla prevenzione, sulla protezione e sulla certezza della pena. A seguire la più suadente e profonda delle invocazioni alle vittime di non sentirsi sole, isolate e abbandonate “perché lo Stato c’è”. E lo sprone a “denunciare e denunciare”. Quindi gli annunci sugli stimoli alle forze dell’ordine, al legislatore per leggi adeguate, alle istituzioni per provvedimenti ed iniziative necessarie e l’arrivo massiccio dei braccialetti elettronici: “Il problema è semplice – ha spiegato la primo ministro – non ci sono”.

Non solo parole impegnative. Anche immagini forti, evocative. La prima donna premier italiana, la contestata e avversata “patriota” di Fratelli d’Italia, ha voluto che Palazzo Chigi, la sede del “suo” Governo, per l’intera ricorrenza sia completamente illuminato di rosso. Una sorta di shock alla Dario Argento, per ricordare le 104 donne che dall’inizio dell’anno hanno perso la vita per mano di un uomo violento. Nomi proiettati e che scorreranno su Palazzo Chigi per le 24 ore di questo 25 novembre, la giornata delle vittime del femminicidio.

Ora, della sinistra e di quell’opposizione che fino a ieri ha vituperato la persona, il partito e l’appartenenza, chi si scusa? Perché non è stato solo dibattito, sfida e propaganda antagonista. Contro Giorgia Meloni sono volate accuse e discredito fino al “bastarda” del più noto dei giornalisti del fronte avversario, denunciato e sotto processo che implora il diritto alla critica. Chi fa ammenda delle Elodie e compagnia cantante, che descrivevano la giovane e battagliera leader come un pericolo democratico? Chi si pente delle influencer, delle attrici, dei giornalisti e giornaliste, delle papavere rosse?

Partecipando alla Sala Zuccari del Senato alla presentazione della “Relazione conclusiva dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio” Giorgia Meloni ha lodato l’impegno e i risultati, di cui sarà tenuto massimo conto in sede parlamentare. “Siamo concentratissimi sul tema della violenza e sulle discriminazioni di genere”, ha commentato. E ha fornito tutti i dati di una mattanza che procede incessante (1 donna ogni 3 giorni) e dilaga allargando le categorie, coinvolgendo sempre più vittime: non più solo donne, ragazze, mogli e compagne, ma anche nonne, suore, figli, figlie, straniere, di ogni categoria dalla prostituta alla professionista.

Del primo governo di destra a guida femminile la premier non è l’unica a stare dalla parte delle vittime. A ruota sono andati tutti i ministri con il nuovo titolare della Farnesina, l’azzurro Antonio Tajani in testa, drastico sulle misure: “Faremo tutto ciò che può stringere il cerchio contro gli aggressori”, ha stigmatizzato. Ma il più sbalorditivo è stato il presidente della Camera Ignazio La Russa, lo stesso rodato “ex camerata”, che il giorno delle elezioni è stato contestato ed esposto a frasi odiose, tipo “benvenuto presidente” col nome a testa in giù fino al più irriverente “La Russa la Garbatella ti schifa” del fronte militante antifascista. Per non dire dei commenti biforcuti di piddini e grillini, del solito stizzito Carlo Calenda, anche se formalmente – ex segretario Enrico Letta in primis – tutti dissociati dai manifesti odiosi. “Il femminicidio è un problema culturale e di noi uomini”, ha gelato La Russa archiviando il suo passato di maschio alfa, se mai la fama corrispondesse al vero. Chi si pente e vergogna?

Ditemi: quanto tempo si è perso in inutili polemiche e sterili attacchi per una questione così grave, annosa e maledetta. Quanti anni a sospettare una parte e uno stuolo di persone di essere i nemici culturali, politici e ideologici? Come se le donne o le difende la sinistra, e parlano, fanno e disfano solo loro, o sono destinate a cadere nella violenza, nella discriminazione, nell’ingiustizia, nel vetero-maschilismo. E se contro Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, da mezzo secolo ammantati di tutti i poteri e privilegi del Parlamento – e oggi rispettivamente premier e presidente della Camera – si è scatenata una simile aggressiva e feroce delegittimazione, agli altri cosa può essere capitato?

“Il problema della violenza delle donne – ha precisato la Meloni – riguarda tutti e tutte, non ci possono essere divisioni”. Lo dica chiaramente: pena di morte, castrazione chimica, gettiamo la chiave? O invece facciamo sul serio e cominciamo ad andare oltre la propaganda di parte, l’horror e la fiction? Oppure, si potrebbe optare definitivamente per una società tutta Lgbtq+, così maschi e femmine non correranno più i rischi della famiglia, del matrimonio, dell’appartenenza succube e spesso mortale. O abolire proprio l’eterosessualità. O punire il sacramento delle nozze. O diciamo che il femminismo e le politiche unilaterali e politicamente superbe della sinistra dagli anni Settanta hanno fallito? E che sulla sinistra, come sugli immigrati, il velo pietoso dovrebbe essere immane. Giorgia Meloni non era Hitler e non è Mussolini, inutili, false e vergognose accuse. È come Laura Boldrini. Vedremo i risultati.

Aggiornato il 25 novembre 2022 alle ore 11:15