I danni procurati dalle frane

giovedì 1 dicembre 2022


In Italia le frane raccoglieranno i loro frutti disgraziati ancora per molti anni. Per questo vi sono tre colpevoli, alcuni con attenuanti e un indagato per concorso di colpa.

Il primo indagato è la natura ma essa sarà la prima a richiedere le attenuanti generiche. La natura fa il suo mestiere: piove, gela, riscalda, aziona la deriva dei Continenti, solleva le montagne, le sbriciola con l’alternanza del gelo e del caldo, erutta cenere dai vulcani. Ma questo è il suo mestiere, non si può incolpare l’artigiano di fare l’artigiano o il professionista di fare il professionista. Non c’è forza umana che possa contenere la forza della natura e questo è dimostrato dal fatto che non c’è Paese al mondo che sia esente da frane e alluvioni. Sarebbe meglio chiamarle così, frane e alluvioni, e non dissesto idrogeologico, perché a furia di indicare le cose con un nome diverso dal loro, magari in ossequio al politicamente corretto, spesso si finisce per perdere il bandolo della matassa.

Il secondo colpevole – duole enormemente doverlo dire – è rappresentato gli uomini che costruiscono dove non devono edificare, sotto le frane o lungo gli argini dei fiumi. Qualche volta per ignoranza, qualche volta per calcolo probabilistico, realizzano le abitazioni ignorando che, in pochi secondi, tutto può essere distrutto da un evento che solo geologi professionali possono predire e che, quasi mai, vengono consultati prima di costruire. Purtroppo, in questo caso le vittime e i colpevoli si identificano. Ma come considerare colpevoli persone con un basso titolo di istruzione, che vedono spuntare tante case intorno a loro e che vogliono realizzare il sogno di avere quattro mura. Ci sarebbe da insegnare geologia nelle scuole!

Il terzo colpevole è rappresentato dai cambiamenti climatici che – è doveroso dirlo – non c’entrano proprio nulla. Le frane e le alluvioni ci sono sempre state anche prima che i devastanti cambiamenti climatici infuocassero l’atmosfera. Un aumento percentuale degli eventi estremi può giustificare solo la crescita percentuale delle frane e delle alluvioni, non può discolpare tutte le frane e tutte le alluvioni che ci sono sempre state e sempre ci saranno. Quindi, se i cambiamenti climatici sono colpevoli, lo sono per concorso di colpa e non per colpa esclusiva e piena.

Chi è dunque il vero colpevole? Il vero colpevole è il sistema, che non è in grado di mitigare o ridurre i rischi delle frane. Dopo l’alluvione di Firenze e altri eventi calamitosi, la politica mise in atto uno strumento che, forse, potremmo dire essere di matrice sovietica. È noto che in quegli anni e anche negli anni precedenti la politica italiana era affascinata dalla cultura socialista sovietica, che incentrava tutto il suo sviluppo sugli strumenti di pianificazione, i celebri piani quinquennali. Nacquero così i Piani di assetto idrogeologico che, da soli, avrebbero dovuto risolvere il problema della programmazione e della gestione del sistema. Per loro stessa natura, avevano una visione locale e non d’insieme. Data la natura del problema, invece, occorre avere un’ottica più ampia possibile a livello territoriale, non fosse altro per determinare le priorità a livello statale – e non solo – per ogni singola area. Ma torneremo su questo argomento.

Altri eventi e disastri suggerirono un’altra soluzione, quella dell’istituzione delle Autorità di bacino, efficacissime per creare un po’ di burocratica occupazione e qualche posto di prestigio utile – salvo encomiabili eccezioni – principalmente per soddisfare la vanità di qualche potente di turno. Prive di un effettivo potere gestionale, non sempre sono riuscite a essere all’altezza del compito e a ridurre le cause degli eventi che avrebbero dovuto contenere.

Il sistema, vedendo crescere l’allarme sociale, scaturito dalle decine di morti che disgraziatamente ogni anno si aggiungono alla tristissima lista delle vittime, altro non ha saputo fare che schierarsi a favore di soluzioni d’urgenza e ha instaurato un sistema basato sul ruolo dei commissari straordinari. Di fatto, il sistema ha considerato straordinari gli eventi che sono ordinari. È ordinario che le montagne franino, è ordinario che le alluvioni invadano il territorio e allora si può dire che il ricorso al commissario, per definizione straordinario, sembra davvero fuori luogo.

In ultimo, ma non perché sia il problema minore, va notato che i fondi per le alluvioni vengono distribuiti alle Regioni con il criterio superficie/popolazione, quindi può darsi il caso che una Regione, dove il rischio di frane è pressoché nullo, (purtroppo non ne esistono) riceva più soldi di un’altra dove il rischio è elevato e incombente. Se la pianificazione non ha portato i risultati sperati, se le Autorità non hanno fermato le frane, se le figure precarie proprio perché straordinarie, come i commissari, non hanno fermato le alluvioni, se le risorse non sono state distribuite tenendo conto del pericolo e del rischio, allora bisogna chiedersi quale può essere la soluzione.

In primo luogo, bisognerebbe investigare meglio circa una certa ulteriore bizzarria del sistema. Perché mai competente in materia deve esser il ministero dell’Ambiente, o come altro si voglia chiamare, dove per sua natura sono prevalenti le competenze in materia di inquinamento e non quelle di ingegneria civile e di idraulica. Queste sono competenze logicamente prevalenti nel ministero delle Infrastrutture o magari dei Lavori pubblici.

I problemi qui evidenziati – precarietà dei sistemi, mancanza di visione d’insieme e iniqua distribuzione delle risorse – sembrano proporre una sola soluzione: la creazione di una direzione generale in uno e un solo ministero, che si avvalga di personale specializzato scelto per concorso e con contratto a tempo determinato, e che non ricorra alle cosiddette società in house. Solo una struttura permanente, composta non da commissari politici ma da ingegneri idraulici, geologi e ingegneri civili con competenze su tutto il territorio nazionale, dotata di responsabilità che non si esauriscono con la gestione commissariale, può rappresentare un’adeguata difesa contro le frane. Solo un costante monitoraggio ispettivo può decidere dove e come spendere più urgentemente le risorse, che saranno sempre e comunque insufficienti. Solo una struttura ispettiva risponderà, dopo anni, circa l’argine costruito male e non tempestivamente individuato. Una struttura nazionale centrale potrà fare concorsi nazionali e questo rende evidente che la selezione metterà a disposizione un personale molto più qualificato di quello che potrà emergere da un concorso regionale, dove magari in un’area si troveranno delle vere eccellenze e in un’altra altra delle professionalità non particolarmente competenti.

Un sistema centralizzato e stabile, poco a poco, maturerà una massa di esperienze che rimarrà come bagaglio dell’organizzazione, cosa che non sarà mai possibile con delle strutture provvisorie, come quelle commissariali. E anche se questo potrà offendere le Regioni e i Comuni che si troveranno nell’impossibilità di nominare i loro commissari, certamente non oltraggerà i cittadini che si sentiranno – e saranno – più protetti da un sistema gestito in maniera più organica e consolidata nel tempo.


di Antonio Perrone