Rai Radio Tre: imparzialità e cultura al macero

Vittorio Giacopini è un conduttore di Rai Radio Tre. In questa settimana presenta Pagina Tre che, come dice il titolo della trasmissione, dovrebbe occuparsi di cultura, dato che pochi decenni fa la terza pagina dei quotidiani era dedicata a tale settore (lo scivolamento verso le ultime pagine indica una decadenza non irrilevante).

Giacopini, da tempo, invece di essere un animatore o un giornalista culturale, sembra un missionario politico: evangelizza il prossimo, per giunta a senso unico. “Diritto di opinione”, dirà qualcuno. Sì, ma non su una radio pubblica e non se contrabbandi politica al posto della cultura. Ascoltandolo, tutto sembra politica, anche l’insalata russa. Il conduttore ha una passione prorompente: si sente protagonista di una missione apostolica, degna di un San Paolo. Il fatto è che lo fa fuori luogo e fuori tema. Se cita un articolo de Il Manifesto per accusare il fascismo incombente sulla Patria e i rischi di una dittatura, poi è capace di continuare su quell’onda, oppure – per pareggiare i conti – cita un pezzo de Il Giornale in cui si parla della sparizione della foca monaca.

Eh no, qua nessuno è fesso. Così, capita che ascoltando Pagina Tre si pensi a un indottrinamento. Ciò sarebbe poco tollerabile, dal punto di vista della deontologia giornalistica, anche perché di tutto e di tutti questo conduttore parla male, tranne che di uno schieramento politico, a parte qualche rimbrotto, ma solo per dimostrare un riverginamento etico e una imparzialità che nelle trasmissioni di questo tipo assomiglia alle parole che a Pinocchio facevano prolungare il naso.

Ripeto, Giacopini può dire ciò che vuole, ma non credo possa farlo in una radio pubblica culturale. Lo può fare, per esempio, nella redazione de Il Venerdì di Repubblica, un inserto settimanale ottimo per i nostri standard nella sezione culturale. Compro quel settimanale perché mi piace, nonostante la sua propaganda politica (a parte la moderata e pensosa Natalia Aspesi), perché so che cosa leggerò e cosa non leggerò, ma non sono d’accordo sul brainwash politico nei media pubblici. Non lo sarei anche se il lavaggio del cervello fosse ambidestro, sia chiaro. L’ingerenza totalitaria della politica deve cessare, è un problema di diritto, di libertà, di imparzialità, di cultura.

La “morte di Dio” del Novecento ha rinforzato la sacrosanta separazione tra Stato e Chiesa nelle nazioni liberal-democratiche. Purtroppo, la separazione è durata poco. Adesso, come ricorda Luca Ricolfi ne “La Mutazione”, ci sono nuove teocrazie e nuovi papati medievali. L’integralismo della “cancel culture”, con il suo politicamente corretto che diventa una imposizione del velo islamico al contrario, mi sembra la conseguenza della fine della religione social-comunista. E quando una fede decade, dà vita a pesanti integralismi e all’intolleranza. Nascono Controriforme travestite da progressismo.

Se la dittatura della “cancel culture” si diffonde, per esempio imponendo i suoi (dis)valori a Hollywood o nella pubblicità, sarebbe facile contrastare questa “Mutazione”, segnalando alle aziende e alle agenzie pubblicitarie che se i maschi di una pubblicità sono costretti a girare con il capo cosparso di cenere e un collare trainato da una coppia di donne, oppure se in Iran la pubblicità mostra una donna schiavizzata dalla teocrazia che fa il bagno nel golfo Persico col velo sul capo, allora chi non si sente rappresentato dalle ideologie di due minoranze (quella Lgbtq e quella integralista religiosa) boicotterà i prodotti di quelle false “pubblicità progresso”. Perché non lo si fa? Forse perché l’Iran è contro la Nato e gli angloamericani odiati da Benito Mussolini e dagli stalin-leninisti. Certamente, perché la fede Lgbtq è “dalla parte giusta” e quindi non si può criticarla. “Non si può”, come in Iran.

Giacopini, parlami di Jorge Luis Borges o di “For Harry Carney” di Charles Mingus! Segnala una mostra di Henry Moore, parlami della sparizione delle materie più importanti di tutti i corsi scolastici dai 5 ai 25 anni: italiano, matematica geografia, storia, semiotica e latino. Tutto il resto, soprattutto i “programmi e corsi alternativi”, rappresenta la fuffa. Giacopini, se vuole parlare di dittature, potrebbe ricordare allora che anche le sinistre hanno ascendenze poco encomiabili. Se Fratelli d’Italia sta al fascismo, allora anche i Democratici della Sinistra e dintorni discendono dal comunismo. E hanno un peccato originale, che li dovrebbe condannare. Il comunismo, infatti, è stata la prima cultura politica ad aver praticato nell’era moderna i “benefici” della dittatura: Lenin la teorizzò e Stalin la mise in pratica.

Quando Vittorio Giacopini cita le mail o i messaggi che arrivano in trasmissione (in sintonia col colore politico con cui la “Pagina culturale” viene declinata), risultano i segni della sua visione giacobina/buonista. Ultimamente, mentre parlava di Julian Assange (ps: Assange ha fatto cose gravi e stolte, divulgando segreti di Stato, ma dovrebbe essere liberato), un ascoltatore messaggiava – citato dal conduttore – con toni da Guerra fredda anni Cinquanta, quella che accusava gli americani di ogni male mentre glorificava Stalin (e le decine di milioni morti da lui causati). Si veda la prima pagina de L’Unità alla morte di Stalin: “Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell'umanità”. Perché la “gente comune” non ricorda che Stalin per l’umanità ha fatto quanto potrebbero fare 100 miliardi di crotali catapultati sulle nostre teste? Cosa diceva il messaggio icastico inviato a Pagina Tre? “È dal 1945 che viviamo sotto libertà vigilata”. Il che può essere detto, ma non senza ricordare che tutta l’Europa dell’Est, dal 1945 al 1989 (e oggi l’Ucraina e la Bielorussia), non è stata “sotto libertà vigilata” ma imprigionata, violentata, invasa, impoverita, schiavizzata dietro un Muro non limitato a Berlino, ma che correva – e potrebbe ancora correre – dal Mar Baltico al Mar Nero e all’Adriatico.

Troppi militanti della comunicazione “libera e imparziale” non fanno ciò che sostengono. Comunque sia, la propaganda politica deve smettere di incombere nelle nostre vite. Ormai – se non si ha una corazza culturale decente – si discute solo di ciò di cui hanno parlato opinionisti e politici sui tg, oppure ci si veste come hanno indicato le/gli influencer. E questo quadro ci può trasformare in robot stupidi e programmati, diventando androidi senza nemmeno saperlo e senza avere cuore gambe e cervello, cosparsi di terre rare e circuiti integrati.

Aggiornato il 01 dicembre 2022 alle ore 13:41