Giustizia: l’urgenza di un confronto serio

In un momento storico di grande difficoltà, in cui il Paese dovrebbe essere unito, ancora una volta la classe dirigente si spacca sulla base di posizioni preconcette e non di riflessioni intellettualmente serie. I guelfi ed i ghibellini, l’un contro l’altro, armati scendono in campo brandendo la scimitarra di ideologie il cui unico senso è il misero tentativo di una ricerca di consenso a buon mercato. Ed ecco apparire come d’incanto nel dibattito sulla Giustizia il tema della legittimità di un istituto come il 41 bis (il cosiddetto “carcere duro”). Ci si confronta urlando slogan preconfezionati, intervallati da cadute di stile, il cui unico fine è continuare a negare la realtà e le necessità del nostro ordinamento.

La annosa questione sullo stato degradato delle nostre carceri e sulla umanizzazione del trattamento penitenziario, il cui fine non è punitivo ma risocializzante, non può e non deve essere artatamente usato per finalità faziose. In questo senso forse occorrerebbe richiamare l’irrinunciabile diritto alla sicurezza che è alla base del contratto sociale tra cittadini e Stato, in cui i primi rinunciano ad una porzione delle proprie libertà (ed a farsi giustizia da sé) sulla base della garanzia da parte dello Stato di farsi carico di tutelare la sicurezza. E allora, al netto delle frasi offensive e gratuite, andrebbe chiesto ai parlamentari della opposizione: per quale motivo la stessa attenzione e la stessa sensibilità non è stata mostrata nei confronti di detenuti molto meno noti che hanno posto in essere le medesime rimostranze (sciopero della fame ed addirittura in alcuni casi suicidio)? Forse queste persone avevano una minore dignità? Forse le loro richieste erano meno rilevanti? Perché far trovare diritto di cittadinanza ad un dibattito che appare alimentato solo dalla sua capacità mediatica e dalla sua risonanza pubblica? Sembra quasi che la battaglia sia stata intrapresa nell’inconsapevolezza di intuire dove ci porterà. Non ci si rende conto che non può uno sciopero della fame essere il salvacondotto per evitare l’effetto dei propri comportamenti. In caso contrario i cittadini cosa dovrebbero pensare? La rivendicazione di diritti essenziali non può sterilizzare gli effetti di una pena risocializzante. In caso contrario si legittimerebbe l’impunità.

Il nostro sistema va migliorato, ma non dobbiamo dimenticare che nell’ambito delle garanzie in tema di applicazione della pena siamo uno dei Paesi più indulgenti, se non quello che ha il primato in tal senso. Siamo un Paese la cui classe dirigente dovrebbe capire che, prima di parlare di argomenti così importanti, sarebbe opportuno confrontarsi con tutti i protagonisti di tali vicende – detenuti, forze di polizia, magistrati, avvocati e vittime dei reati – in modo da avere una visione più aderente alla realtà. Comprendendo che come le guerre non possono esser combattute sventolando una bandiera della pace, allo stesso modo certi temi non possono essere affidati al bon ton dei salotti prussiani.

(*) Avvocato penalista, presidente emerito della Camera penale di Salerno

Aggiornato il 06 febbraio 2023 alle ore 15:30