Luca Coscioni: la malattia come iniziativa e strumento politico

lunedì 20 febbraio 2023


20 febbraio: accendi la radio e ti imbatti in una voce conosciuta, anche se raramente chi parla è “ospite” in trasmissioni televisive e radiofoniche. Il timbro di quella voce è inconfondibile: puoi essere d’accordo o in dissenso con lui, ma ne indovini la sincerità, la passione che lo anima e che coinvolge come pochi. La sua voce è rotta, singhiozza, lo capisci che ingoia lacrime amarissime. Marco Pannella piange, letteralmente, la morte, preceduta da una lunga agonia di un quasi ragazzo di 39 anni, stroncato da una malattia che non concede scampo, la Sclerosi laterale amiotrofica. Pannella sillaba che Luca Coscioni “ci ha lasciato… Luca era un leader, perché era in prima linea. Era in prima linea ed è caduto. Direi che è stato ammazzato anche dalla qualità di questo Paese e della sua oligarchia, che lo corrompe e lo distrugge”.

Pannella ricorda come Luca abbia patito assurde, incredibili, violente chiusure; spesso proprio da coloro che avrebbero dovuto sostenerlo: “Fu continuamente censurato anche a livello politico. Non gli fu permesso di intervenire nella vita politica italiana. In occasione delle elezioni regionali il centrosinistra rifiutò l’accordo con i Radicali, perché le liste portavano il nome di Luca”. Quel nome non doveva comparire: continui “rifiuti” che avrebbero schiantato un toro e invece sembravano renderlo più forte… Quando muore è il 20 febbraio del 2006.

Luca realizza un’operazione politica straordinaria: incarna alla lettera, e nel quotidiano concreto, quella specie di slogan che ha segnato tanti di noi: “Il personale è politico”. La sua malattia, la Sla, diventa un ineludibile fatto politico. C’è chi non ha mancato di insinuare che Pannella abbia strumentalizzato Luca. No: è esattamente il contrario. Lui e la moglie Maria Antonietta Farina (che poi verrà eletta parlamentare dal Partito Radicale, e nelle istituzioni, almeno, il nome Coscioni è incardinato), individuano nel partito di Pannella lo strumento per trasformare la malattia in politica e ammirevolmente lo “sfruttano”. Luca e Maria Antonietta fanno la cosa giusta. Con lui, dopo di lui, i malati diventano una realtà non più occultabile. Persone vive, con diritti da tutelare e garantire; le loro famiglie nuclei di “resistenza” al male da sostenere e aiutare. Con Luca le tematiche della libertà di ricerca scientifica diventano argomento da agenda politica. Gli scienziati e i ricercatori trovano voce e sostegno.

Ancora oggi la Sla è una malattia che non lascia scampo. A seconda dei casi la si può rallentare ma, una volta contratta, non molla più la presa. La scienza e la ricerca non hanno ancora trovato rimedi. Non solo. In attesa dell’inevitabile, poco o nulla in concreto e nel quotidiano si è saputo e voluto fare per costruire quella rete di sostegno, appoggio, solidarietà al malato e alle loro famiglie. Anche questo 20 febbraio rischia di scivolare tra l’indifferenza di buona parte della classe politica e il fastidio di una sua consistente quota. Anche se tra la pubblica opinione, tra le persone “comuni”, è cresciuta, aumentata, la consapevolezza di questa realtà, che tuttavia ancora non riesce a imporsi e a emergere come sarebbe necessario.

C’è “semplicemente” il rifiuto di una classe politica (maggioranza e opposizione per una volta unite) di riflettere, avviare un dibattito e un confronto sulle tematiche che Luca ha letteralmente incarnato: il fine vita, la concreta assistenza ai malati e alle loro famiglie, la libertà di ricerca, in Italia ancora ostacolata e boicottata, in omaggio a veti che hanno a che fare con un’ideologia che rasenta il fanatismo. Non si deve, non si può, perché così è e deve essere: questo il diktat. Come ai tempi di Giordano Bruno, come ai tempi di Galileo Galilei.

Perché questo silenzio, questa indifferenza colpevole? Purtroppo, in Italia, oggi come sempre, ci troviamo a fare i conti con una classe politica omertosa, paurosa, timorosa di violare tabù indiscutibili e intoccabili. Eppure, in più occasioni il Paese ha dimostrato una maturità che la sua classe politica, quella di oggi e quella di ieri, evidentemente non sospetta. Su queste tematiche – che tutti conosciamo e viviamo, in prima persona o perché riguardano parenti ed amici – il silenzio regna sovrano. Sono questioni che si preferisce ignorare, perché scomode; qualcuno forse ha deciso che non siamo ancora maturi; o forse, più propriamente, è consapevole di questa nostra raggiunta maturità e, temendola, impedisce il confronto, il dibattito, la conoscenza.

Il 20 febbraio del 2012 sei deputati del Partito Radicale (Farina Coscioni, Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Matteo Mecacci, Elisabetta Zamparutti) depositano una proposta di legge per istituire la Giornata nazionale per la libertà di ricerca scientifica. Iniziativa così motivata: “Assistiamo a una crescente e irrazionale ondata antiscientifica, che influenza, molto più che in passato, le scelte di politica della scienza. Un’influenza, questa è la novità, che si manifesta anche sotto un’apparente partecipazione democratica. Difendere la libertà di ricerca scientifica, promuovendo in particolare l’educazione e la cultura scientifiche, oggi più che mai, significa difendere la democrazia, laddove manca o si sta indebolendo. È indispensabile operare per il rafforzamento di una percezione pubblica del ruolo che la cultura scientifica ha svolto in passato e che può svolgere nello sviluppo civile, economico e culturale della società. È dunque il ruolo sociale della scienza l’orizzonte verso cui la comunità degli scienziati dovrebbe orientare il dibattito politico-culturale. È la libertà di ricerca scientifica la fonte primaria del sapere, della conoscenza, della cultura e della concezione laica dello Stato. Promuovere la libera ricerca scientifica non vuol dire negare l’esistenza di problemi e di questioni “aperti” nell’uso della scienza e di come essa possa essere usata nell’ambito della società. Tuttavia, se si riesce a fare una sana distinzione tra scienza e tecnologia si riesce anche a comprendere che la ricerca della conoscenza, non può che migliorare la comprensione dei suoi limiti e della possibilità di applicazione delle conoscenze stesse. La libertà di ricerca scientifica è nel nostro Paese oggetto di un’espressa previsione costituzionale: l’articolo 33 della Costituzione stabilisce infatti che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Costituzione impegna anche lo Stato a promuovere e a sostenere la libertà di ricerca, infatti l’articolo 9 prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Il 20 febbraio 2006, Luca Coscioni è morto, perché stroncato dalla Sclerosi laterale amiotrofica. La sua battaglia per la libertà di ricerca scientifica aveva raccolto negli anni l’adesione di cento Premi Nobel, oltre a quella di tanti malati e disabili, di personalità del mondo della scienza e della medicina, della cultura e della politica. Di Luca Coscioni, scrisse José Saramago (...) ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito una nuova forza. Soltanto con la sua morte, la storia della vita e della lotta di Luca Coscioni è stata conosciuta dall’opinione pubblica italiana, riconosciuta da moltissimi e salutata dalle massime cariche istituzionali e politiche del Paese. Il solo obiettivo di difendere la libertà di ricerca sarebbe tuttavia limitato e limitante: la scienza sta attraversando un momento di crisi nei rapporti con la società a causa di una percezione distorta che confonde le dimensioni conoscitive e le valutazioni tecniche dei rischi con le questioni etiche ed economico-politiche. L’istituzione della Giornata nazionale per la libertà di ricerca scientifica vuole essere l’occasione per lanciare, pensare, riflettere e ragionare anche a livello di azione politica come porre la scienza al centro delle dinamiche culturali, civili ed economiche della società; come nuova modalità per affrontare, nel dibattito politico, il problema del valore della ricerca e della cultura scientifiche, quale strumento per promuovere la democrazia e le libertà individuali; perché la scienza, la conoscenza scientifica e l’innovazione tecnologica possono e devono svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo della democrazia anche in Paesi dove essa non si è ancora sviluppata. Una iniziativa anche in ricordo del premio Nobel, Renato Dulbecco, scomparso il 20 febbraio 2012 che è sempre stato al fianco della lotta per la libertà di ricerca e coautore di un rapporto stilato da una commissione di studio, nel quale si individua nella ricerca sulle cellule staminali una speranza per la cura di malattie che colpiscono milioni di persone e che sono ad oggi inguaribili”.

Un vero e proprio manifesto di libertà e per la libertà: non c’è nulla da aggiungere o sottrarre. Sembra scritto oggi, per l’oggi.


di Valter Vecellio