Le bare di Crotone e la sfida dell’immigrazione

Il tema dei migranti irrompe furente dopo la strage di Crotone. Il 26 febbraio un’imbarcazione di legno si è spezzata ed è naufragata davanti alle coste calabresi, a Steccato di Cutro. A bordo centinaia di persone. Le vittime accertate sono 68, tra cui almeno 15 minori, 21 donne, un neonato, ma il bilancio sarà purtroppo più alto. La carretta era partita dalla Turchia, seguendo una rotta (Turchia-Calabria) che, secondo l’Internazionale, si è riattivata da qualche anno e rappresenta il 15 per cento degli arrivi in Italia.

La sciagura ha subito innescato il rimpallo delle responsabilità e le accuse. Tra l’altro, diabolica fatalità, l’evento è avvenuto all’indomani della elezione del nuovo segretario del Pd, così che la sinistra ha avuto subito la sua propaganda servita su quel quadrante ionico a sud est della Sicilia in cui non operano le Ong. L’effetto choc tra le due punte dell’attuale politica italiana, la neo-guida del secondo partito di maggioranza e il premierato di destra, hanno prodotto uno scambio di addebiti al fulmicotone. A farne le spese il ministro degli Interni, il prefetto Matteo Piantedosi, reo di aver detto la cosa ovvia,non devono partire, a cui è corrisposto il grido di tutta l’armata progressista italiana ed europea “non devono morire”. La realtà sono certamente le bare allineate al Palasport di Crotone, a cui ha reso omaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con l’abito scuro, la posa eretta, il volto fermo e tragico, chiuso nel suo silenzio assordante.

Il battibecco tra sinistra e governo ha tutti gli ingredienti delle politiche immigratorie mancate, degli arrivi che si triplicano, delle soluzioni che schizzano come schegge nell’impossibile, alimentando da anni il travaglio italiano sociale e morale. Prima dovrebbero venire la cronaca, le testimonianze di coloro che hanno tentato i soccorsi e che hanno raccolto i corpi, la ricostruzione da parte degli organi deputati, la descrizione dell’accaduto secondo la quale l’imbarcazione di legno si sarebbe poggiata su una secca e a causa del mare agitato si sarebbe spaccata. Ma gira anche la versione dello scafista che, giunto a cento metri dalla riva, avrebbe spaccato il motore e finto il naufragio. Resta il fatto che per 8mila euro dalla Turchia alla Calabria così si muore.

Il tema dei migranti è la ferita del nostro tempo, da cui continuamente sgorgano vite, sogni, ambizioni, fughe, tratte maledette, guadagni illeciti e cimiteri di innocenti. Blocco navale? Accordi coi Paesi di origine? Aiuti umanitari? Cosa può risolvere questa dimensione epocale, che si allarga con le guerre che ampliano i loro scenari, le calamità che intervengono a devastare ogni speranza, la fame e i miraggi di benessere come l’acqua nei deserti e la politica inabile a gestire l’una e l’altra faccia della questione? Cosa c’è veramente dentro l’immigrazione? Vale la pena chiederselo dopo la strage di Crotone.

Una risposta, almeno a livello suggestivo, l’ho trovata nel film del 2022 “Le nuotatrici”, diretto da Sally El Hosaini, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival (presente su Netflix). Narra una storia vera, la drammatica traversata delle sorelle Yusra e Sarah Mardini, le quali d’accordo con i genitori (che hanno un’altra figlia più piccola) decidono di lasciare la Siria quando una bomba deflagra nella piscina dove le due giovani atlete della nazionale si allenano. Non è una partenza immediata. Prima la trama approfondisce tutte le ambizioni, le contraddizioni, le spinte, le incongruenze a restare, fino a che si sviluppa il progetto del rischio più alto: affrontare la traversata.

Il padre di Yusra e Sarah pretende che ad accompagnarle sia un cugino, per non lasciarle sole, poi un giorno la famiglia si riunirà, chissà dove. Le sorelle, certo, hanno sicurezze personali, sono atlete nazionali e l’acqua è il loro mestiere. Ma prima dell’acqua, della traversata, c’è molto altro che devono superare coloro che lasciano con queste modalità il proprio Paese. Altre prove: i soldi rubati dei genitori dagli spregiudicati amministratori del business dell’immigrazione clandestina, i lupi cattivi dei boschi, le solidarietà umane, la pietà che sorge nelle disperate paure, molto e molto di più. Così che “la traversata diventa il miracolo, quando indietro non si può tornare.

Non è un caso la scelta di questi personaggi, “Le nuotatrici”, “The Swimmers”, perché su quelle barche, imbarcazioni, carrette, gommoni, solo due olimpioniche potrebbero farla franca. Il mare non è la politica e non è nemmeno la terra. Anche io sono una nuotatrice di gare nazionali e incontri internazionali, ma al mare poco ci manca che vado con la ciambella. Perché la sua forza non ha nulla a che vedere con ciò che noi riteniamo possa essere governato dall’uomo. Dal Titanic, alle vele inghiottite, alle furie degli uragani, al silenzio misterioso delle piatte navigazioni. Il mare è Cristoforo Colombo, la sfida più alta dell’uomo con la fisica e il divino. Le due sorelle, le due nuotatrici, riescono a trarre in salvo se stesse, individualmente, e poi i poveri disgraziati con loro. Ma qui non finisce la storia, inizia. Arrivate in Germania, come nel piano costruito a casa, debbono realizzare ciò per cui sono partite. Non c’è più la Siria, ma il mondo interiore non cambia. E le difficoltà non sono minori, solo perché se non ci sono più le bombe e la paura. Sono più artificiali.

Yusra Mardini vive oggi a Tokyo, dove si allena per la Squadra Olimpica dei Rifugiati, dopo aver vinto – nella sua specialità – il titolo per la squadra olimpica dei Rifugiati ai Giochi di Rio de Janeiro del 2016. La sorella Sarah riesce a raggiungere Yusra a Rio, dopo essere stata arrestata mentre aiutava i profughi verso la Germania, giusto in tempo per vedere la gara, la vittoria e restare unite. Questa è l’immigrazione clandestina. Roba da campioni.

Aggiornato il 03 marzo 2023 alle ore 12:33