Il magistrato esonda nel silenzio generale

Se Gregorio Magno, nelle sue riflessioni morali, riprendendo Isaia, nota che il silenzio rappresenta il culto della giustizia e che perciò quando per giudicare altri si abusi del discorrere, cedendo al “multiloquio”, non mancherà il peccato, c’è una ragione.

La tradizione dottorale della Chiesa aveva visto giusto, come viene naturale osservare dopo aver letto le motivazioni che accompagnano – per giustificarle – due recenti decisioni adottate l’una dal Tribunale di Firenze e l’altra da quello di Crotone, così come riportate dalla stampa.

Non entrando per nulla nel merito di tali decisioni – che qui non interessa – mi limito a riportare alcune espressioni contenute in quelle motivazioni allo scopo di far intendere come sarebbe stato  meglio e da tutti i punti di vista ometterle del tutto.  

Il Gip Michele Ciociola del Tribunale di Crotone, nel valutare l’arresto di alcuni degli scafisti che hanno causato il naufragio e la morte di oltre settanta migranti, pare si sia lasciato andare ad una prosa più adatta ad un racconto d’appendice che ad un provvedimento giudiziario.

Infatti, nel suo provvedimento è dato leggere per esempio che In attesa dell’atteso (sic!) ed osannato turismo croceristico l’Italia per alcuni giorni scopre altri esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni”, a causa di  “immarcescibili e sempre più opulente organizzazioni criminali che brindano all’ultima tragedia umanitaria”.

E continua: “Ha trovato tragica epifania quanto già in tante occasioni sfiorato e preconizzato. Lungi dall’ergersi alla Cassandra di turno, chi scrive, gravato dagli orrori dell’ultima mareggiata pitagorica, si accinge a vagliare l’ultimo fermo disposto in materia di immigrazione clandestina”, scrive ancora il giudice prima di annunciare di entrare “nel merito delle apprezzande esigenze cautelari”.

In altri passaggi riferiti agli scafisti finora individuati – definiti “principali nocchieri del mezzo nautico” – ci sono anche considerazioni in cui si fa presente “sul crinale esperienziale come, venuta meno la manovalanza russofona, negli ultimi mesi gli aurighi dei natanti siano quasi esclusivamente di nazionalità turca”. E riguardo alle immagini dei trafficanti individuate nei telefonini sequestrati si parla di foto che celebrano “l’epifania” di uno dei soggetti ritratti. Infine, nel capitolo sulla Qualifica giuridica dei fatti, il gip scrive che “lo sbarco in questione non può essere ritenuto frutto di un epifenomenico accordo tra quattro amici al bar che, imbattutisi per caso fortuito in almeno 180 disperati, decidono di affrontare i perigli del mare per speculare sul desiderio di libertà dei disperati medesimi”. Infine il documento rimanda “ai posteri il gravoso compito di raccogliere, valorizzare e riscontrare gli elementi sintomatici già agli atti”.

Che dire? Non posso esimermi dal censurare l’aggettivo di “umanitaria” accostato al sostantivo “tragedia”, dal momento che si tratta di un ossimoro: la tragedia è sempre e soltanto umana, mentre casomai sono gli aiuti ad essere umanitari.

Ma non può tacersi come questo tipo di prosa sia estranea ad un provvedimento giudiziario non perché ridondante e barocca, ma semplicemente perché inutile e tale che invece di chiarire le cose serve a confonderle.

Dal canto suo, invece, la giudice di Firenze Susanna Zanda, nel rigettare la domanda di risarcimento avanzata da Renzi nei confronti del Corriere della Sera, sente il bisogno di precisare che la richiesta “al di là della infondatezza della domanda, ha una palese e ingiustificata carica deterrente”; “Specie – spiega – ove collocata nell’alveo di iniziative volte ad usare il tribunale civile come una sorta di bancomat dal quale attingere somme per il proprio sostentamento, anche quando lo si coinvolge senza alcun fondamento”.

Qui va stigmatizzato il fatto che la giudice si arroga una libertà di valutazione che, sconfinando nella valutazione delle scelte personali in sede processuale e non processuale, non le è per nulla concessa dall’ordinamento.

La Zanda si erge a censore del fatto che Renzi faccia spesso ricorso ai Tribunali per rivendicare danni subiti a causa di asserite diffamazioni. Io non so naturalmente se Renzi abbia ragione o torto. Ma so per certo che alla Zanda non spetta estendere la sua potestà di giudizio a quante volte lui – o altri – faccia ricorso ai Tribunali, perché nessuna norma la attribuisce a lei o ad altri che facciano lo stesso lavoro. Ciascuno di noi – Renzi compreso – ha infatti diritto di adire i tribunali tutte le volte lo ritenga necessario e senza attendere il permesso della Zanda o di altri suoi colleghi.

Che queste “perle” impreviste appaiano fra le righe di sentenze e decreti, pur amareggiando perché, estranee dalla necessaria geometria della mente in cui consiste il diritto, denotano una sorta di scadimento generale della qualità della giurisdizione, non meraviglia oltremodo.

Meraviglia invece che presidenti di Tribunali e Csm, pur assisi su alti scranni, tacciano. E il loro silenzio è assordante.

(*) Tratto dal quotidiano La Sicilia

Aggiornato il 13 marzo 2023 alle ore 18:18