I tagli delle Big Usa toccano anche Sky

L’onda lunga dei licenziamenti che da mesi stanno colpendo le big del digitale di Silicon Valley (103mila posti in meno nel gennaio 2023, circa 150mila nel corso del 2022) sta arrivando in Italia. Sono 800 gli esuberi di Sky Italia che dovranno scegliere, a breve, tra esodo volontario incentivato oppure riconversione professionale. Il duro colpo per i lavoratori (giornalisti, impiegati, quadri) arriva dal piano chiamato di “efficientamento” che il gruppo televisivo controllato da Comcast Corporation di Rupert Murdoch ha presentato a metà marzo alle organizzazioni sindacali. Il piano di riduzione dei costi deriverebbe dai cambiamenti dello scenario macroeconomico che coinvolge tutti i big del digitale e per l’Italia riguarderà 1200 lavoratori sull’organico di 4mila. L’obiettivo che i vertici di Sky (amministratore delegato con quartiere generale a Milano e due sedi a Roma e Cagliari è Andrea Duilio) è quello di ridefinire completamente la struttura organizzativa per “internalizzare” diverse attività tra cui quelle di produzione e post. Per i sindacati della Cgil, Cisl, Uil si tratta di vedere con quali misure Sky intende affrontare la crisi strutturale del settore. Per i social di Elon Musk e di Mark Zuckerberg (Twitter, Meta, Facebook, Instagram) il 2022 si è chiuso nel peggiore dei modi con le aziende che hanno presentato il primo bilancio della loro storia in flessione e proceduto ad una lunga catena di licenziamenti. Si è chiuso così il lungo percorso iniziato nel 2013 e rafforzato nel 2028 con Google e YouTube di espansione e ricevi senza limiti.

La valanga di licenziamenti, compresi quelli delle banche (Jp Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, McKinsey, Silicon Valley Bank) e del settore auto (General Motors e Ford hanno annunciato tagli) sta creando molti grattacapi al presidente della Federal reserve Jerome Powell chiamato a dare spiegazioni alla Camera e al Senato degli Stati Uniti. Le previsioni di alcuni tra i più accreditati economisti mondiali sono negative. Per loro si rischia la combinazione degli aspetti peggiori della stagflazione degli anni Settanta e della crisi del debito del 2018 per il crollo delle banche Usa che coinvolse il mondo nella seconda più grave crisi dal 1927. Dopo il periodo della moneta facile il pericolo, scriveva sull’Opinione Claudio Romiti, è quello che il sogno di progresso illimitato si trasformi in un incubo.

Per il settore dell’editoria si prospettano ancora anni di difficoltà, aggravati anche dal crescente fenomeno della pirateria digitale che penalizza la stampa, saccheggiando i contenuti giornalistici. Si sta tentando anche a livello europeo di correre ai ripari. All’esame del Parlamento c’è la proposta di regolamento Ue che istituisce un quadro comune per i media, chiamata European Media Freedom Act. Gli aspetti centrali da tutelare sono la qualità, il pluralismo, la lotta alla disinformazione (le cosiddette fake news), gli strumenti per contrastare i tentativi d’ingerenza da parte di Stati terzi nel sistema dell’informazione. Secondo il sottosegretario all’editoria Alberto Barachini, “la stampa diversamente dagli altri media è rimasta finora ai margini della regolamentazione nel mercato europeo. La specificità del settore va rispettata ma la rivoluzione in corso tra web e Intelligenza artificiale richiede interventi più ampi di quelli nazionali”. Ormai è convinzione comune che l’avvento di Internet e lo sviluppo della tecnologia digitale abbiano modificato lo scenario dell’editoria, rendendo i contenuti informativi accessibili a livello mondiale.

Aggiornato il 16 marzo 2023 alle ore 12:44