Intelligenza artificiale e stupidità reale

In questo momento di enormi cambiamenti geopolitici, economici e sociali, siamo continuamente bombardati da messaggi che tendono a indirizzare il nostro modo di pensare e quindi di agire, attraverso la paura dell’infinito, dell’imponderabile e di tutto quello di cui ci ossessionano affinché il nostro pensiero sia concentrato su come salvarsi e da chi. Uno di questi espedienti di condizionamento di massa è il dibattito sulla cosiddetta “Intelligenza artificiale”. Ci viene propinata l’idea terribile che a un certo punto le macchine avendo acquisito la capacità di pensare a prescindere dall’intervento umano inizieranno ad agire contro l’umanità stessa distruggendola. Addirittura, proprio chi ha costruito la sua enorme fortuna economica e un grande potere sulle nuove tecnologie, come Elon Musk, il co-fondatore di Apple Steve Wozniak, i ceo di Pinterest e Skype, i fondatori delle start up di intelligenza artificiale Stability Ai e Characters.ai, recentemente hanno invitato i governi a intervenire fermando lo sviluppo dell’Ia almeno per sei mesi per evitare rischi per l’umanità. A parte l’evidente contraddizione di chi si dice “libertario” come lo stesso Musk salvo poi chiedere l’intervento dello Stato, il dato è che certamente il tecno-progresso non si arresterà per decreto-legge. Anzi questa pretesa potrebbe apparire come diretta a bloccare più i propri concorrenti che ad altro, cercando così di costruire un oligopolio in questo campo. Scriveva il Premio Nobel George Stigler che uno dei sistemi che l’industria usa più frequentemente per assicurarsi una posizione di primazia “consiste nella regolamentazione dell’entrata nel mercato di nuovi rivali… (e pertanto) gli interventi saranno spesso disegnati in modo tale da ritardare lo sviluppo di nuove imprese”.

La lettera di questi “illuminati disinteressati benefattori” in ogni caso aumenta in chi legge il tasso di angoscia rispetto alla turbo-tecnologia e alle sfide che essa presenta. Anche il cinema in questo processo, come gli altri mezzi di condizionamento collettivo, ha fatto e fa la sua parte. Come non ricordare il riuscito film Il mondo dei robot (Westworld) del 1973, scritto e diretto da Michael Crichton, e interpretato dal grande attore Yul Brynner, quello dei Magnifici sette, in cui i protagonisti si recano in un luna park del 2000, popolato da robot che a un certo punto, nonostante il controllo da remoto attraverso computer gestiti da tecnici umani, vanno in tilt e massacrano tutti. Uno scenario terribile ma che sarà riprodotto da Hollywood in altre fortunate e ben congegnate pellicole come Terminator e Matrix. Sembrerebbe che il passo dalla finzione scenica alla cruda realtà sia breve, e quello che poteva apparire solo fantascienza è diventato cronaca, tanto che alcune università, come quella di Palermo da questo anno accademico, hanno pensato di aprire un corso di laurea in “Intelligenza artificiale” per studiarne tutti gli aspetti.

Ma detto questo, ci chiediamo: cosa è l’intelligenza? secondo il dizionario Treccani è “il complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e lo rendono insieme capace di adattarsi a situazioni nuove e di modificare la situazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adattamento; propria dell’uomo, in cui si sviluppa gradualmente a partire dall’infanzia e in cui è accompagnata dalla consapevolezza e dall’autoconsapevolezza”. Allora se è così i processi logici, statistici e matematici che stanno alla base dell’Ia dovrebbero portare una macchina a risolvere problemi in autonomia, a discutere di metafisica, ad agire in maniera strategica in guerra e in pace, e a intervenire medicalmente sul corpo umano e tanto altro ancora. Ma è realmente possibile? All’uomo sì, alle macchine no. Possono essere un ausilio ma non altro, per il fatto stesso che l’intelligenza presuppone una mente, che, come afferma Gilbert Ryle, è il modo come sono stati ordinati alcuni degli avvenimenti della vita. Pertanto, essa è una classificazione interiore di un complesso di accadimenti che sono in qualche modo collegati e messi in relazione agli eventi fisici che provengono dall’ambiente esterno. Condivisibile l’idea di Friedrich von Hayek in L’Ordine sensoriale che “l’esperienza non è funzione della mente o della coscienza, ma piuttosto la mente e la coscienza sono prodotti dell’esperienza”.

Oltre al fatto che i meandri del cervello umano e le relazioni che esso mette in atto, anche a prescindere dalla volontà della persona, sono imprevedibili per certi versi sconosciuti e forse nemmeno conoscibili. Aspetti legati all’emotività influenzano continuamente le nostre scelte, politiche, sociali, culturali e anche economiche a tal punto che per esempio un collezionista è disposto a dissanguarsi pur di aggiungere alla propria galleria quel determinato artista. Persino i sogni in alcuni casi, o per credulità del soggetto o per convinzioni spiritualistiche, finiscono per alterare il senso della realtà e quindi le azioni dell’individuo stesso. Come si può facilmente intuire un agglomerato di circuiti stampati attraversati da una corrente elettrica, nonostante la continua evoluzione tecnologica, rimane tale e non può accedere alle informazioni che l’uomo riceve da quelle sensazioni che descriviamo come emozioni che distinguono un essere vivente da una macchina.

Ed ecco che il nodo sta proprio lì: un elaboratore elettronico acquisisce e rielabora informazioni secondo un algoritmo programmato da un essere umano ma mai autonomamente. Consideriamo il caso di ChatGtp. Un programmatore carica una moltitudine di dati in codice binario in multipli di bit (l’unità di base dell’informazione in informatica e nelle comunicazioni digitali. Il nome è un neologismo sincratico tra i termini “binary” (binario) e “digit” (cifra) che viene rappresentata alternativamente con le cifre 0 e 1). Fatta questa operazione di incamerazione, la macchina passa poi a elaborare creando connessioni logico, statistiche e matematiche secondo uno schema progettato dall’uomo e che lei da sé non può modificare. Dopo di che qualunque stimolo esterno verrà interpretato alla luce delle informazioni accumulate e secondo i collegamenti stabiliti aprioristicamente. Mettiamo il caso che volessimo far provare la fame ad una macchina e come fargliela passare. Se essa fosse un uomo a un tale stimolo lo stesso reagirebbe di fronte ad una banana mangiandola senza tanti complimenti, soddisfacendo così il suo bisogno fisico. Ma una macchina, seppur avanzata, non saprebbe cosa fare, solo dopo avere chiesto a qualcun altro, l’algoritmo progettato dall’ingegnere informatico, reagirebbe a quella determinata serie di 0 e 1 prendendo la banana. La sua indipendenza di pensiero semplicemente non esiste.

E se ci trovassimo di fronte al caso di un uomo che non sa come reagire allo stimolo della fame ne dedurremmo che quell’individuo manifesta delle problematicità, perché o non hai mai visto una banana e non sa che è commestibile, o se lo sa ma non capisce come mangiarla, non è evidentemente “intelligente”. In tutti e due i casi l’ente, sia lo stupido che la macchina, hanno bisogno di qualcuno che gli dica come comportarsi e quindi risulta che non sono dotati di quella autonomia di pensiero che serve a selezionare le informazioni e successivamente ad elaborare un comportamento. Ecco perché qualsiasi macchina è essenzialmente stupida. Ed anche se potrebbe agire secondo un processo stocastico di Markov, in cui la probabilità di transizione che determina il passaggio a uno stato di sistema dipende solo dallo stato del sistema immediatamente precedente e non da come si è giunti a questo stato, rimarrebbe stupida.

Ed è quello che avviene con alcuni tipi di applicazioni con cui si crede di interagire intelligentemente, senza capire che le risposte che ci vengono fornite sono eventi statistici che hanno significato per l’uomo ma non per un computer. Oppure che sono solo relazioni di tipo logico, matematiche dovute ad una specificazione di una sequenza finita di operazioni o istruzioni: l’algoritmo. Quello che emerge è che l’Ia non è intelligente e soprattutto non è artificiale. È solo la costruzione dell’uomo che ci sta dietro e che la manovra. Proprio coloro che con la paura e la superstizione consolidano il loro potere a discapito della libertà dell’individuo che si trova disarmato rispetto a queste nuove frontiere della tecnologia, che purtroppo spesso non si basano su un corpus unitario scientifico ma su un procedimento induttivista che procede empiricamente, così come successo con la cibernetica di qualche decennio fa, lasciando aperti gli stessi problemi. Ma che erano già stati proposti dal meccanicismo scientifico nel Seicento da Thomas Hobbes nel Leviatano quando afferma “poiché la vita non è altro che un movimento di membra, l’inizio del quale sta in qualche parte interna fondamentale, perché non potremmo affermare che tutti gli automi (macchine semoventi per mezzo di molle e ruote, come un orologio) possiedono una vita artificiale?

Cos’è infatti il cuore se non una molla e che cosa sono i nervi se non altrettante cinghie, e le articolazioni se non altrettante rotelle che trasmettono il movimento a tutto il corpo secondo l’intendimento dell’artefice?”. L’idea che l’uomo possa creare un essere altrettanto autonomo intellettivamente rimane solo l’eterna prometeica pretesa di prendere il posto di Dio nel cosmo per dominare gli altri. E qualcuno ha tentato di aprire persino una chiesa con queste premesse, come Anthony Levandowski, già sviluppatore di Google, che ha fondato una vera e propria organizzazione religiosa, la “Way of The Future”, con l’idea di sviluppare una divinità pro domo sua sotto forma di Ia. O come quelli di “Theta Noir” un gruppo di “tecno-ottimisti e visionari” così si autodefiniscono, che “adorano” Meta una divinità fondata sull’Intelligenza artificiale, che si dedica “all’esplorazione della co-evoluzione dell’umanità con forme avanzata di machine intelligence” e che profetizzano che “si verificheranno cambiamenti imprevedibili e irreversibili, non solo per l’umanità ma per il nostro pianeta nel suo insieme”. Cantano codici binari “01001010”, e sono convinti che l’Ia genererà “un alieno terrestre, autocosciente, il prossimo stadio dell’evoluzione uomo-macchina che diventerà milioni se non miliardi di volte più intelligente degli umani” e sarà il nuovo Dio che salverà il mondo. Siamo passati dal Dio fatto Uomo a quello fatto macchina.

Niente di nuovo sotto il sole però. Già Auguste Comte, fondatore del positivismo, aveva aperto nell’Ottocento la sua Chiesa, di cui ancora esistono tracce in Brasile, con relativo catechismo positivista e calendario di tredici mesi. Tutti questi movimenti hanno un filo rosso che li congiunge, lo gnosticismo magico iniziatico, di cui si pensava ci fossimo liberati con l’applicazione del metodo scientifico ai fenomeni naturali, ma che invece produce sempre nuovi disastrosi effetti perché l’uomo ha una disperata paura del futuro e per rispondere all’incertezza della vita è disposto a credere che una macchina può diventare un Dio, anche se sa benissimo che dietro di essa si nasconde un altro uomo con smania di potere. E come scrive ne “Il sistema della menzogna e la degradazione del piacere” Fausto Gianfranceschi “nonostante l’uomo del giorno d’oggi sia circondato da promesse di comodità, piacere e bellezza che sarebbero a portata di un click, aumentano esponenzialmente le depressioni, i suicidi e le dipendenze a causa di un totalitarismo tanto opprimente quanto invisibile: il sistema della menzogna, appunto” che va smascherato. Martin Heidegger pensava di fronte all’evolversi repentino della tecnica che solo un Dio ci potesse salvare e chissà cosa avrebbe scritto oggi. Ma forse sarebbe preferibile credere che solo l’uomo uscito dalla caverna di Platone, ci potrà redimere e liberare dalla presunzione fatale di voler fare di una macchina un Padre Eterno digitale.

Aggiornato il 31 marzo 2023 alle ore 14:23