Contro i femminicidi ci vuole l’innamoramento

Sgomberiamo il campo da qualunque equivoco. Come dice Lucia Annibali sulla prima pagina del Riformista: “Non è mai colpa delle donne”. Giulia Tramontano è la vittima. Due volte vittima. Come donna e come madre incinta di sette mesi del piccolo Thiago, morto prima di nascere per la furia omicida del giovane padre, Alessandro Impagnatiello, che ha accoltellato la ventinovenne compagna uccidendo il figlio in grembo. Sarebbe nato tra due mesi. Corredini, carrozzine, l’appuntamento con il parroco di Serago per il battesimo, nulla ha fermato questo orrore. L’atroce delitto evidenzia quanto la famiglia, la coppia, i rapporti eterosessuali, le relazioni affettive siano malatissime. È inutile aggrapparsi alla falsa e illusoria teoria a senso unico del femminicidio, alla versione ideologica del maschio padrone-narcisista-sadico. L’impianto che dagli anni Settanta ha monopolizzato la cronaca nera, non è sufficiente. Il teorema femminista sulla quale la sinistra ha costruito la sua ideologia e propaganda non regge più. Non basta, non ferma, non argina, non spiega.

Il trentenne barman del lussuoso Armani Bamboo Bar, esile, pallido, con le sopracciglia depilate e i pantaloni aderenti alla caviglia, non è il vecchio mostro delle educazioni cattoliche, postfasciste, autoritarie, maschiliste e misogine. È uno dei tanti giovani che hanno svuotato la vita dagli studi e dai progetti famigliari, che non si fidanzano ma convivono, che praticano il sessismo brandendo la rivoluzione dello “scopo con chi mi pare”. Probabilmente facendo uso di sostanze stupefacenti. Per questa generazione liberticida e disimpegnata, il corpo della donna è quello della partner per giochi lussuriosi, divagazioni e sfumature di cui sono pieni libri, film, tivù, giornali, social. E quando le relazioni si basano sul sesso finiscono anche nel giro di una notte e non reggono certo alla progettualità di un’unione, di un matrimonio, di una gravidanza.

L’atrocità di questo delitto non è l’ennesima donna uccisa, ma Thiago, il bambino mai nato per mano di un giovane “padre” che non riconosce più il miracolo del concepimento, la grazia della riproduzione, il rapporto che genera la vita. E il delitto non si spiega nemmeno col triangolo dell’uomo sposato che si sbarazza dell’amante incinta. È il delitto del vuoto delle relazioni. Giulia, la compagna in attesa, e l’altra, la ventitreenne con cui il barman intratteneva la relazione parallela. L’aborto corre da una parte all’altra. Giulia avrebbe dovuto praticarlo e la giovanissima amante ne aveva già fatto uso. Sono i diritti che questa generazione ha introiettato in una società in cui ha prevalso la non-vita contro le voci spente, la borghesia ipocrita, la Chiesa intimidita e la politica minacciata, che prova a riprendere il controllo etico e morale.

L’orrendo delitto di Giulia e Thiago non è il classico copione della gelosia. La due donne diventano amiche, solidarizzano contro il traditore, l’amante teme addirittura per la rivale e, la sera dell’omicidio, la invita a dormire da lei dopo aver intuito dai guanti di lattice la follia di Alessandro. Per un caso dalle tinte così macabre bisogna risalire al massacro di Cielo Drive, quando nel 1969 in California fu colpita a morte Sharon Tate e il bambino che teneva in grembo all’ottavo mese di gravidanza. Imputata “la famiglia” di Charles Manson e le derive sataniste che stroncarono l’intero movimento degli hippies e dei figli dei fiori alla Woodstock. In Italia e in Europa, invece, il movimento femminista e della sinistra dei diritti è sfociato nella rivoluzione del Gender: un incalzare di rotture e legittimazioni estreme in un processo di de-sacralizzazione di tutto ciò che riguarda l’eterosessualità, la coppia, le relazioni, il matrimonio. Il divorzio, l’aborto, i matrimoni omosessuali, la famiglia arcobaleno, la maternità surrogata sono diventati l’acida e rabbiosa tenuta. Questo caso lo dimostra: è tutto pro aborto, pro sesso, pro coppia aperta e libera. Giulia che non si è adeguata, che non ha abortito, che ha continuato a sognare, il parto, la carrozzina, la coppia eterosessuale, tradita e isolata, ha pagato un prezzo orribile.

Giulia sapeva del comportamento del suo compagno, sapeva che aveva una relazione parallela con una giovane collega e la giovane collega sapeva di lei. Giulia ne aveva parlato con la sorella da mesi, però non si era decisa a lasciare quella casa pericolosa ogni giorno di più. I magistrati hanno escluso la premeditazione, per la quale necessita un piano ordito da giorni, un’arma procurata. Invece tutti gli elementi per uccidere Giulia scattano il giorno stesso. “Perché ero sotto pressione”, ha spiegato l’omicida ai carabinieri. Quelle relazioni pericolose, consumate tra notti e giornate nere, rischiavano di venire a galla e assumere la normalità insopportabile: il fidanzato, il neo padre, il futuro genitore-marito. Alessandro Impagnatiello non è il classico mostro, lo dice anche il testimone del bar che lo descrive formale, pacato, professionale. Alessandro è il nuovo paradigma del subumano, né maschio né femmina, il sessista aperto, che non fa l’amore e per cui un figlio naturale e biologico nell’era della maternità su commissione è il male da cancellare.

Arriviamo alle famiglie di origine. Due brave famiglie. Quella di Giulia, che vive in Campania con la mamma-amica che accetta la convivenza, le infelicità, i tormenti, il progetto di prepararsi a fare la mamma single mentre la relazione che si gonfia di brutti presagi. L’altra mamma, descritta dalla stessa famiglia di Giulia come “splendida e affidabile”, si è emancipata, non dice più “mio figlio era buono e bravo”, ma urla “mio figlio è un mostro”, lo ripudia. È la madre rivoluzionata dell’era fluida. A Domenica in Mara Venier così la accoglie: “Sì, è un mostro”, poi si scusa. Eppure nessuna di queste due famiglie moderne, nuove, aperte, dialoganti, affatto conservatrici e autoritarie hanno potuto fare nulla per fermare la tragedia incombente. Per l’8 giugno è prevista una fiaccolata per Giulia e Thiago. Ma sul Riformista, il giornale di Matteo Renzi, Lucia Annibali segna una rottura e dice: “Dalla parte della donna, ma basta con la pubblicità sui femminicidi”. Lo diciamo da anni. La leggerezza con cui decine di uomini compiono delitti crudelissimi è anche perché entrano a far parte di una categoria pubblicizzata, che ha il suo posto nella società dell’immagine, degli influencer, nella letteratura, nelle audience e più delle pene vale il protagonismo noir. Il femminicida è diventato un genere, l’uomo che uccide le donne.

La via per assicurare alla donna e alla coppia la sicurezza è sconfiggere tutto questo e tornare all’amore che costruisce la vita. Questi giovani non si fidanzano, non hanno più sentimenti, sogni e fiabe. Italo Calvino diceva che “le fiabe sono vere”, negli anni Settanta il professor Francesco Alberoni parlava di innamoramento. Dentro quell’amore c’erano l’etica e le regole, il rispetto e la tutela. Poi è stato il divorzio, poi l’aborto, poi siamo arrivati ai matrimoni omosessuali, poi la denatalità, la fine della famiglia, l’avvento delle famiglie arcobaleno, la borghesia ipocrita, la chiesa macchiata, la violenza dei generi. Sulle spalle di Giorgia Meloni, la premier contro ogni deriva, poggia tutto questo. Non solo la politica. La responsabilità di salvare la vita. E il riscatto degli anni Settanta dei massacri e delle stragi, l’inizio della società del male. Siamo dalla sua parte, dalla parte opposta di tutto questo, per ritrovare innamoramento e amore.

Aggiornato il 06 giugno 2023 alle ore 11:10