Niente sesso, ho la micosi

venerdì 9 febbraio 2024


Niente orgasmi (assistiti). Faccio da me, fino a data da destinarsi. Siamo femministe, e ancora un po’ femmine. E abbiamo diritto a essere ex. Ex bamboline, ex oggetto del desiderio, ex narcisiste, e pure ex depilate (tanto non ci dobbiamo più far guardare più da nessuno, dicono, e allora basta pure con la ceretta). E soprattutto ex attrici porno.

Come lo era Eloise Delsart, in arte Ovidie, già interprete e poi regista di film a luci rosse, ora scrittrice impegnata e documentarista (pecunia non olet). Che viene a dirci che l’astinenza è un valore. E anche un affare, se è vero che ha messo tutto nero su bianco nel suo autorevolissimo, pare, La chair est triste, hélas (La carne è triste, ahimè), che poi è l’estratto di un estratto di una poesia di Stephane Mallarmé: “Brise marine: la chair est triste hélas, et j’ai lu tous les livres”.

Quattro anni fa, Ovidie che oggi ha 38 anni, ha iniziato il suo sciopero (“rinnovabile”) del sesso, e come spesso accade quando si scelgono situazioni estreme (ma poi fino a un certo punto), si sente l’esigenza di dirlo a tutti. Non con il passaparola, ovviamente, dei circuiti amicali informali, ma con la mediazione immancabile del mercato (pecunia non olet), come equilibratore rassicurante di un narcisismo che vuole ribadire la propria centralità. Lo sciopero del sesso, dice Ovidie, è il rifiuto del ruolo di seduttrici assegnato (da chi, dalla “società” sessista e fallocratica, da se stesse?) alle donne, un ruolo che esalta il corpo desiderabile e che si accompagna a un certo numero di obblighi per soddisfare i diversi criteri che caratterizzano “la donna attraente”. Obblighi che hanno un costo finanziario oltre che temporale, e che l’autrice definisce il “mercato della scopabilità” (marché de la baisabilité), sulla scorta di quanto Virginie Despentes aveva già denunciato nel 2006 in King Kong Theory come “il mercato della brava ragazza”. Una seduzione che diventa “lavoro a tempo pieno” non retribuito, per irretire uomini “che non hanno nemmeno la cortesia di lavarsi le mani prima di un rapporto”.

Lo sfogo è comprensibile, ma a tratti sconcerta. “Ho ripensato a queste innumerevoli relazioni che mi ero costretta a intrattenere per politesse, buona educazione (si fa sesso controvoglia per non essere maleducati? domandare è lecito... ndr), per non offendere i miei ego fragili (e questo invece ci sta, purtroppo, ndr); a tutte le volte in cui il mio piacere era facoltativo, in cui non ho goduto; a tutti questi coiti in cui ho avuto dolore prima, durante, dopo. Le dolorose preparazioni con il depilatore, le penetrazioni prolungate, le posizioni scomode, la cistite il giorno dopo. Tutti questi sacrifici per restare quotati sul grande mercato della scopabilità”. Una servitù volontaria, sostiene l’autrice, a cui si sottomettono le donne eterosessuali, “per così poco piacere in cambio, senza dubbio per paura di essere abbandonate, una volta accartocciate come quelle vecchiette che guardiamo con pietà”. E così, “un giorno, ho smesso di fare sesso con gli uomini”.

Astinenza, quindi fino a un certo punto; sciopero solo in certi “comparti”, se si tratta di “mandare in bianco” il maschio arrapato, insicuro e a corto delle nozioni igieniche di base. L’impressione è che la “conversione” e il “pentimento” consistano ancora una volta nel mettere nell’angolo e colpevolizzare ciò che l’autrice considera una competizione a sfondo eterosessuale, che come tale imporrebbe alle donne di farsi belle per il maschio, “tra rughe da coprire, le unghie da dipingere, lo sport per perdere peso e i peli da togliere”, per quanto riguarda il “prima”, e poi medicine per la cistite e lavande per la micosi “a causa della loro negligenza” (ci pare di capire che si tratti di rapporti occasionali, e allora chiedergli di usare un profilattico proprio no?). Ovidie ammette, allora, che spesso chi piange se stesso è causa del suo male, e non respinge quelle che sono le sue responsabilità: “Perché le donne, e tra queste ci sono anche io, sono le prime a far credere ai loro partner quanto siano bravi, belli, forti e maschi, e dunque partecipano attivamente a questa servitù volontaria”.

Ora, però, come dice, “lo yogurt è scaduto”, e dopo tanta idraulica fine a se stessa (o sesso senza passione, fate un po’ voi), Ovidie è tornata a essere Eloise, che non significa soltanto permettersi il lusso di “smettere di fare sesso quando sei ancora scopabile”, ma impegnarsi nella scrittura e nella divulgazione (ha collaborato alla stesura di una serie di documentari su sessualità e amore su France Culture), e magari riuscire a finire anche la tesi di dottorato. Per provare, in sostanza, a sviluppare relazioni più egualitarie, anche vivendo senza “amore”. Ed è proprio un amore non corrisposto, racconta l’autrice, che ha spinto suo fratello al suicidio. E allora forse c’è dell’altro, del tanto altro, dietro questa nuova vita e il rifiuto del sesso. Un dolore che ha reso il suo corpo, tornato vergine, “il mausoleo di mio fratello”. Perché “ho paura di annegare negli altri e ho speranze solo nell’amicizia”.

Altro che micosi. 


di Pierpaolo Arzilla