“Per cambiare, occorre agire insieme”. Questa, se vogliamo, in maniera semplicistica è la sintesi dell’equilibrio nella teoria dei giochi di John Nash, matematico statunitense di Bluefield (Virginia occidentale), premio Nobel per l’Economia nel 1994, che Russell Crowe ha magnificamente interpretato nel film “A beautiful mind” diretto da Ron Howard. Ma c’è chi quell’equilibrio con il passato l’ha rotto, facendo girare a mille le squadre dove ha militato. Anche lui fa di cognome Nash. Steve, invece, è il nome. Nato a Johannesburg, in Sudafrica, si è trasferito con la famiglia a Victoria, nella Columbia Britannica, quando aveva 18 mesi. Captain Canada sarà il suo soprannome con cui si consacrerà nell’Nba. Un playmaker dai colpi eccezionali, che ha disegnato parabole e assist tra Phoenix, Dallas e Los Angeles.

Alto 191 centimetri, 81 chilogrammi di peso, non ha mai badato all’aspetto fisico di fronte ai colossi della pallacanestro americana. Perché si sa: nella botte “piccola” c’è il vino buono. Forse è per questo che Nash ha come idolo Isiah Thomas (“non era alto ma giocava un basket incredibile”), 185 centimetri di statura, due volte campione con i bad boys dei Detroit Pistons.

Dall’Università di Santa Clara è iniziato il viaggio per il draft del 1996, dove sarà la quindicesima scelta. Due mvp consecutivi, tiratore formidabile (sarebbe meglio dire un cecchino, soprattutto dalla lunetta), tra i migliori assistman di sempre, è uno dei cestisti entrato nel novero dei 50-40-90, ossia degli atleti che in una o più stagioni hanno toccato quota 50 per cento dal campo, 40 per cento dai tre punti e 90 per cento ai tiri liberi.

Una star con un accentuato low profile, un gigante tra i giganti. Non ha mai vinto un titolo Nba – proprio come un’altra icona del basket, ovvero John Stockton, re degli assist all time dell’Nba – e non ha mai disputato le finali (mentre il play degli Utah Jazz ha avuto due occasioni, tramutate in due sconfitte, sempre contro i Chicago Bulls). Eppure, ha cambiato il gioco negli ultimi quindici anni. A Phoenix, sotto la guida di Mike D’Antoni, sarà il faro del run n’gun (corri e tira) che modificherà la pallacanestro di lì in avanti. Non essendo un gran difensore, in quel contesto tattico è riuscito a dare sfogo al suo istinto offensivo e al suo genio.

Poco più di un mese fa è stato licenziato da capo-allenatore dei Brooklyn Nets. Un passaggio a vuoto, uno dei pochi della sua carriera. Però, ciò che ha lasciato sul campo è una dichiarazione di profondo affetto per questo sport. Un po’ come quella di Russell Crowe-John Nash a Jennifer Connelly-Alicia Larde Nash: “È soltanto nelle misteriose equazioni dell’amore che si può trovare ogni ragione logica. Io sono qui grazie a te. Tu sei la ragione per cui io esisto. Tu sei tutte le mie ragioni”. Roba forte. Roba da beautiful mind.

Aggiornato il 16 dicembre 2022 alle ore 23:51