Ritratti. Fabián O’Neill: l’ultimo dribbling

Non è una storia di redenzione, né di beatificazione. Soprattutto per chi, nella vita, santo non lo è stato. È una storia che parte da Paso de los Toros, città uruguaiana del dipartimento di Tacuarembó, tra asado e las empanadas criollas come soddisfazione per le papille gustative. Ma per leccarsi i baffi basta osservare un ragazzino. Si chiama Fabiàn O’Neill: per tutti sarà El Mago. Dal cilindro sfornerà dribbling e giocate con il contagiri. Numeri dedicati solo al rettangolo verde, quello di calcio. Fuori, però, i demoni prenderanno il sopravvento. E il prestigiatore sfilerà il mantello, tornando a essere un comune mortale, con le sue fragilità e le sue ossessioni.

Con il Nacional, società di Montevideo, vincerà un campionato. A metà anni Novanta, Massimo Cellino, presidente del Cagliari, decide di acquistarlo. Perché c’è da colmare un vuoto ingombrante, quello lasciato da El Príncipe, Enzo Francescoli. Altro uruguaiano, altro maestro del fùtbol. Nell’isola sarda O’Neill delizia il pubblico e fa saltare i nervi agli avversari. Qui trova un’oasi felice, dove esprimere il proprio genio in tutta la sua potenza.

La sua aurea si espanderà fino al Nord del Belpaese. E non solo. Andrà alla Juventus. Zinedine Zidane dirà di lui: “È il giocatore più talentuoso che ho mai visto giocare”. Quel giocatore talentuoso, però, sfiorirà pian piano. E si incamminerà verso una parabola discendente con delle soste a Perugia e ancora a Cagliari. Fino al Nacional, come chiusura del cerchio e l’addio al calcio, a 30 anni.

C’è poi l’altro lato della medaglia. Quello adagiato sul bancone di un bar, o davanti a una bottiglia di whisky. Nel libro Hasta la última gota (Fino all’ultima goccia) di Federico Castillo e Horacio Varoli, uscito una decina di anni fa, dice “ho 39 anni e bevo da 30 anni ormai. È ora di smettere”. Non andrà così. A El Paìs confiderà di aver sperperato un patrimonio di 14 milioni di dollari durante una vita vissuta sempre al limite: “Oggi non ho più nulla, ho speso persino quello che non avevo… ho fatto sempre ciò che ho voluto e me la sono goduta con donne rapide e cavalli lenti”. E, come per uno scherzo del destino, sembra quasi di risentire una famosa dichiarazione di George Best, altro genio del pallone, anche lui ingabbiato dalle sirene dell’alcol: “Ho speso un sacco di soldi per alcol, donne e macchine veloci... tutti gli altri li ho sperperati”.

Questo era Fabian O’Neill. È morto il 25 dicembre, il giorno di Natale, in ospedale, a Montevideo. Era stato ricoverato a causa di un’emorragia. Le cure questa volta non sono riuscite a salvare il 49enne, già più volte costretto a ricoveri e interventi.

La figlia Marina, su Instagram, ha scritto: “Ho sempre voluto capire cosa fosse così forte che sentivi e non riuscivi a sopportare, che cos’era quella cosa di cui avevi bisogno letteralmente ogni giorno della tua vita e che cercavi nei bicchieri di alcol. Si vede che la tua sensibilità non sopportava così tanto, erano più di 10 anni che i medici ci davano rapporti negativi e contavano i tuoi mesi di vita. Sono passati 10 anni da quando ho perso la speranza, ma nessuno si prepara mai a questo momento e non poteva essere diversamente… Ti perdono papà, giuro che ti perdono”.

Già, perdono. Perché questa non è una storia di redenzione, né di beatificazione. Soprattutto per chi, nella vita, santo non lo è stato.

Aggiornato il 30 dicembre 2022 alle ore 09:55