Bla Bla Blog. Il web che straparla

Evviva i blog di denuncia. Dove si sublima l'impegno civile del cybernauta. Dove si racconta tutto quello che altrove non avrebbero il coraggio di raccontare, il più delle volte per decenza, talvolta soltanto perché il resto del mondo fa spallucce e si volta dall'altra parte. Dove si conducono battaglie cruciali e altre assolutamente inutili, ma comunque altrettanto significative quando le si guarda da dietro una tastiera. Dove si lotta sempre per qualcosa: salvare il mondo o ammazzare il tempo, in attesa che il web sforni l'ennesimo giochino in flash o che sia pronto in tavola. La web-militanza ha sofferto parecchio con l'avvento dei social network. Ora basta "condividere" o "ritwittare" paro paro per sentire di aver fatto la propria parte nel grande circo mediatico del civismo on-line. Nei blog è diverso: per essere del giro di quelli che si impegnano bisogna commentare. Con frasi pregne di significato oppure con asdjwefkjklòejwf, purché si commenti. Se questa fosse una rubrica seria adesso trovereste due esempi di campagne da sostenere e diffondere con tutta la vostra banda larga e i vostri clic. Ma questo è soltanto Bla Bla Blog, qualcosa di incredibilmente cretino in cui qualcosa di cretino doveva esserci per forza. Come il primo blog recensito. Ma fate attenzione al secondo: perché anche se siamo su Bla Bla Blog, stavolta c'è poco da ridere.

Scarpe de merda
Il titolo dice tutto: questo è un Tumblr di forte denuncia sociale. Lo spiega anche la testatina del blog, un paginone silenzioso dove si susseguono foto orrende di calzature agghiaccianti indossate da persone (per lo più di sesso femminile, o almeno sedicenti tali) che non hanno nemmeno la minima idea di essere state immortalate sul web. E probabilmente non hanno nemmeno la minima idea di quanto facciano ribrezzo le scarpe che ostentano non senza qualche vanteria. Scatti rubati sugli autobus, nei centri commerciali, per strada, all'aeroporto. Ma soprattutto piedi rubati all'agricoltura, che invece di pigiare il vino o sgranare il frumento vengono strizzati in questa sorta di incubi alla Tim Burton con tacco e tomaia. Orrore e raccapriccio un tanto al paio. Ogni immagine è corredata da una breve descrizione: «Sneakers in carta geografica per la novella Indiana Jones in partenza per l'ultima crociata. Focus on: il catarifrangente posteriore aiuterà a rendervi visibili una volta che l'arca perduta forerà». Oppure: «Scarpe di forza per i vostri pazzi, pazzi, pazzi piedi.». E poi la tempesta di commenti dei visitatori che, di fronte a cotanto scempio, non possono esimersi dal dire la loro. Trattenersi di fronte a certe cose, in effetti, può risultare difficile. Scarpe de Merda non è l'ennesimo blog di chi ostenta un odio fittizio per la moda solo per il vezzo di apparire diverso, o per nascondere il fatto che non la capisce: questo è il sancta sanctorum di chi pensa che a tutto ci sia un limite. E che il limite della decenza, per le scarpe, sia stato superato. Scarpedemerda.tumblr.com

Non distruggete la ricerca
C'era una volta il paese che si lamentava per la fuga dei cervelli e la morte della ricerca scientifica. Per la ricerca si scendeva in piazza, si organizzavano maratone televisive per la raccolta fondi, si vomitavano fiumi di inchiostro sulle pagine dei giornali, si intasava la rete di appelli e Catene di Sant'Antonio. C'era una volta un paese che non c'è più. Non appena si comincia a parlare di Ogm, o di prodotti agricoli transgenici, infatti, l'italiano medio dalla vocazione pseudo-scientista riscopre il fascino dell'oscurantismo medievale nel quale ha continuato a sguazzare per oltre un millennio. Trovandocisi benissimo, a dispetto di slogan e dichiarazioni illuminate. Ed è proprio in questo paese che una fondazione che il suo stesso statuto vorrebbe votata alla promozione scientifica, la Fondazione Diritti Genetici guidata dall'ex "Democrazia Proletaria" Mario Capanna, è riuscita laddove nemmeno la Santa Inquisizione avrebbe mai sperato di ottenere risultati così entusiasmanti: entrare nel frutteto del professor Eddo Rugini, docente alla Facoltà di Agraria presso l'Università della Tuscia distruggere sotto il diluvio universale del diserbante oltre trent'anni di ricerca e sperimentazione all'avanguardia.  Il progetto Rugini, una ricerca sulle piante arboree transgeniche in grado di resistere all'attacco dei funghi e di altri organismi infestanti, era un lavoro che aveva mandato in sollucchero gli istituti scientifici di mezzo mondo. L'avrebbero voluta in America, in Gran Bretagna in Germania. Invece, guardacaso, una volta tanto, era diventata un'eccellenza tutta italiana, dalla A alla zolla. Addirittura finanziata, udite udite, con i soldi pubblici tutti italiani. Per il paese che aveva rinchiuso in gabbia Galileo Galilei e rosolato a fuoco lento Giordano Bruno, tutto questo era decisamente troppo. Ma, Deo gratias, la guerra santa scatenata dalla Fondazione Diritti Genetici ha rimesso le cose a posto, spingendo nientepopodimenoche il Ministero dell'Ambiente ad intimare all'ateneo di distruggere tutto, pena pesantissime sanzioni pecuniarie. Peccato che qualche spregevole senzadio venuto d'Oltreoceano, con l'aiuto di alcuni loschi figuri del Bel Paese, abbia pensato che la ricerca scientifica sia più importante della superstizione, delle caccie alle streghe e della disinformazione che rigurgita preconcetti ideologici. E così, quest'accolita di ribelli, ha messo su un blog dove si racconta la storia del professor Rugini e dove si raccolgono le firme per far sì che il suo lavoro non venga seppellito da una montagna di ignoranza dall'oggi al domani. Lo trovate qui: appelloperlaricerca.wordpress.com. E se quel famoso paese che tanto dice di amare la ricerca esiste ancora, saranno in molti a visitarlo e a sostenerlo.

Aggiornato il 28 novembre 2022 alle ore 02:47