Femminicidio/bullismo, la colpa non è del Web

Ognuno di noi pensa che il suo mondo di valori e i suoi comportamenti siano universali, ma non c’è nulla di più sbagliato.

Se da un lato esistono valori condivisi in una società, dall’altro l’assimilazione di questi avviene a diversi gradi, sia per profondità che intensità. A volte tali valori condivisi, come la solidarietà ed il rispetto alla vita, possono essere assimilati da un nucleo, da un segmento della società, e rivolti in modo referenziale al proprio gruppo, escludendo coloro che non ne fanno parte.

Quando assistiamo a fatti di cronaca che vanno dal femminicidio al bullismo delle gang giovanili, fino allo stalking, sia virtuale che reale, rimaniamo basiti da come sia potuta accadere una cosa del genere, anche nei confronti di persone da noi conosciute e considerate “normali”. Questi fenomeni, alcuni postmoderni, ci devono far riflettere sulle contraddizioni vecchie e nuove della nostra società. Prima di tutto dobbiamo prendere atto che oggi c’è una maggior conoscenza delle varie questioni perché da un lato i media ne parlano, a volte anche in modo pernicioso, dall’altro vi è la maggior coscienza delle vittime di essere tali; una consapevolezza acquisita gradualmente, sicché prima, a causa di una forte mentalità sessista basata sulla legge del più forte, lo status di “vittima” rientrava nella normalità, tant’è che non era neanche configurata una fattispecie specifica di reato. Per contro, la maggiore informazione e presa di coscienza acquisita tramite piattaforme virtuali ha contribuito ad un aumento dei comportamenti che collidono con la salvaguardia di questi valori fondamentali del rispetto della persona, dei suoi diritti e della sua dignità. Un esempio tra i tanti è il cyberbullismo.

In un’epoca di passaggio da una società postindustriale ad una mediatica e sempre più tecnologica come la nostra, le famiglie hanno difficoltà a comprendere questo nuovo universo nel quale vedono immersi i loro figli, spesso confondendo le loro abilità con una forma di competenza culturale e, di conseguenza, non sono in grado di educarli nella gestione delle nuove tecnologie. Lo stesso avviene nel mondo scolastico, inidoneo ad insegnare il possibile connubio esistente tra il rispetto dei valori universali con l’utilizzo delle nuove tecnologie e la responsabilità che ne deriva. Il Web è solo un mezzo per comunicare ed informarsi. Il problema non è lo strumento, ma l’uso che se ne fa. Il Web ha dato parola anche a quella parte di popolazione povera di pensieri e dalla mentalità retrograda, perbenista, maschilista, estremista e chi più ne ha più ne metta. I pensieri e le riflessioni che viaggiano su Internet esistono da prima che fosse inventato il telefono; essi non sono una conseguenza, ma una costante. Il male vero non è il Web, ma un pensiero che non si evolve e viene vissuto come unica realtà, che per quanto non realistica e non comune ai più, è la sola legittima per coloro che la vivono. Una vecchia cultura ancestrale e patriarcale che ancora trova un consenso carsico sia tra molti uomini, ma anche donne e madri che considerano naturale il loro ruolo ancillare e subalterno alla figura maschile. Che fare? Certamente è una battaglia che si può vincere, ma oltre ad una ferma repressione dei reati, essa si vince solo sul piano culturale e fornendo servizi adeguati alle famiglie, come il supporto di corsi ad hoc nelle scuole, sia agli insegnanti che agli alunni, i quali mediante l’utilizzo degli strumenti informatici possono imparare a coniugare il valore del rispetto della persona e delle regole condivise.

Aggiornato il 28 novembre 2022 alle ore 02:59