La privacy come proibizionismo burocratico

lunedì 11 giugno 2018


La battuta è facile: “Non ci sono mai state tante violazioni della privacy come da quando c’è la legge sulla privacy”.

Girava già ai tempi molto più razionali del primo garante garantito del settore: Stefano Rodotà. Adesso il nuovo incubo, c’è chi riceve cento mail di “rassicurazioni” al giorno, è il famoso Gdpr. Acronimo per “General data protection regulation”, l’ultima follia della comunicazione globale e burocratica che dovrebbe rassicurarci vessando pure i piccoli professionisti, architetti e avvocati, che si dovrebbero pagare un garante sui dati sensibili da loro conservati. Una follia che non serve a nulla quando poi si pensa di mettere tutte le informazioni della Pubblica amministrazione di un Paese grande come è l’ Italia su un’unica piattaforma telematica, stile Rousseau della Casaleggio Associati. Con il rischio – anzi la certezza – che se entra un hacker fa tana libera tutti.

D’altronde oggi sembra che le guerre si combattano così: rubandosi i dati sensibili, industriali e di diplomazia, tra Paesi e multinazionali. Quindi se il mio esercito – fatto di dati sensibili anche per la sicurezza nazionale – lo piazzo tutto da una parte è facile che venga fatto prigioniero se non distrutto. Ma noi italiani, come si arguisce da come votiamo, siamo specialisti a farci male da soli. Per cui accontentiamoci di questo regolamento che dovrebbe mettere una pezza alle malefatte di Facebook e tiriamo a campare come al solito.

Fatto sta che da settimane, in vista dell’entrata in vigore di questa legge burocratico-velleitaria, l’unico risultato tangibile è uno: una marea di email spam anche da chi non ti mandava pubblicità da dieci anni. E solo per dire, “non ti preoccupare stiamo adottando questo nuovo regolamento sulla privacy”. Ovviamente spesso le risposte o i pensieri sono irriferibili. Ma un aspetto inquietante che occorre sottolineare è il seguente: la stupidaggine europea (o mondiale) recepita con il solito sentimento di soggezione psicologica dall’Italia prevede che pure un professionista da quindicimila euro lordi annui si paghi la sua società indipendente per proteggere i dati e dare anche un “rating” sulla tenuta di quelli dei pochi o pochissimi clienti.

Una follia che nessuno si potrà permettere e quindi una legge che ha un solo destino: essere ignorata. Salvi i blitz di qualche pm in cerca di visibilità e l’eco mediatica che ne seguirà. Con un’appendice politica a base di proclami e cori di “onestà, onestà”.


di Dimitri Buffa