I giganti del web e la fake news della censura europea

lunedì 9 luglio 2018


Non vonnò pagà le notizie vere per continuare a mischialle con quelle false. A Roma si sintetizzerebbe così la vergognosa e minacciosa campagna di tutti i giganti del web, da Google a Wikipedia, passando per Instagram, Facebook e Twitter, contro le royalties sul diritto d’autore degli articoli che vengono veicolati per acquisire pubblicità sulle loro piattaforme. E la cosa incredibile, in puro stile Cambridge Analytica, è che fanno passare per battaglia “per l’aria che si respira” la prepotenza di voler fare profitti senza pagare né tasse né diritti. E presto la situazione sarà questa: i giornali si vedranno costretti a mettere a pagamento tutti i link dei rispettivi articoli, quelli che veicolano notizie vere e verificate, mentre resteranno gratis le notizie, quasi tutte false, di siti più o meno complottisti e di blogger che la sparano grossa. Al contrario se i giganti del web - che già non pagano le tasse e che impiegano pochissime persone a fronte di mastodontici profitti - si degnassero di mettere a disposizione delle fonti giornalistiche e dei quotidiani un due, tre per cento dei loro profitti annui il circolo tornerebbe virtuoso e potrebbe reggersi.

Ma tutti abbiamo visto l’arroganza di Mark Zuckerberg tanto davanti agli organismi parlamentari americani quanto davanti a quello europeo. Si presenta come per una photo opportunity, racconta due stupidaggini sulla nuova privacy e sugli algoritmi, che i politici stanno lì ad ascoltare a bocca aperta, e continua a detenere il controllo su ogni cosa condivisa sulle piattaforme o aggregata dai motori di ricerca. In più, lui come gli altri, ha anche il potere di vendere sotto banco a fondazioni politiche, o servizi stranieri, pacchetti dove le cose false e quelle vere e professionali sono sapientemente amalgamate a uso e consumo di quei partiti populisti di mezzo mondo che per avere consenso si abbeverano a questa fonte. E che si comprano per le rispettive campagne elettorali tutto il pacchetto, followers compresi. È un gioco da ragazzi. Ma scoperto. Che in Italia viene fatto in sedicesimo dalla Casaleggio e dai suoi contoterzisti sui social network. Gente abile a imbellire le notizie false e a farle sembrare vere, ma anche viceversa. Cosa che sta danneggiando il mondo editoriale di tutto il pianeta mediante il salto paraculo dell’intermediazione professionale dei giornalisti. Esistesse un Socrate dei giorni nostri saprebbe come smascherare il tutto, così come sbugiardava le argomentazioni dei sofisti. Altri agevolatori del consenso per i tiranni dell’epoca. Ma gli utenti e i followers internazionali oggi sono tutti di bocca buona. Si bevono tutto.

Una volta i nonni “rimba” dicevano “l’ha detto la tv”, oggi i giovani un po’ “rinco” sostengono “l’ha detto Facebook”. Per cui aspettiamoci nuove serrate di Wikipedia e altri aggregatori di notizie così come dei padroni dei social. Faranno credere alla gente che c’è un tentativo di censura in atto sulla Rete, mentre sono loro i monopolisti che vogliono continuare a usare a piacimento i cosiddetti big data. E indicheranno al disprezzo della rete i giornali che per avere ritorni economici minimi saranno costretti a mettere a pagamento anche i singoli articoli, peraltro con ben scarso successo. Mentre invece basterebbe un onesto accordo di tutti i media con le piattaforme. Lasciando gratis gli articoli e facendo pagare i giganti del web e non gli utenti. Per fortuna che esistono uomini come il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani che hanno avuto il coraggio di venire allo scoperto e denunciare anche le minacce fisiche subite dai parlamentari europei per questo primo voto interlocutorio andato in vacca qualche giorno fa. A settembre ci si riprova ma nessuno ci venga a raccontare che c’è un allarme copyright con il Parlamento europeo che vuole censurare internet. “Ccà nisciuno è fesso”, anche se per età non appartenente ai cosiddetti “millennials”.


di Dimitri Buffa