I media dopo la pandemia

giovedì 18 novembre 2021


Ho avuto modo recentemente di confrontarmi con il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii sull’indagine condotta da questo importante Centro di ricerca sulla comunicazione. La rilevazione ci segnala come la pandemia ha prodotto una straordinaria accelerazione del paradigma biomediatico. La presentazione del XVII Rapporto sulla Comunicazione del Censis “I media dopo la pandemia” ci consente infatti di riflettere sul ruolo che i media hanno avuto durante questo straordinario ed imprevisto evento che ha rappresentato l’alba di una nuova transizione digitale, che adesso coinvolge anche coloro che finora non erano stati coinvolti. Durante tale fase i dispositivi digitali hanno garantito la continuità di molte attività, pubbliche e private: dalle relazioni affettive e sociali al commercio elettronico, dallo Smart working alla didattica a distanza. In questa drammatica circostanza si è rivelato il lato positivo della disintermediazione digitale. Ma cosa resterà dopo lo stato d’eccezione? Quali tendenze si consolideranno in maniera strutturale e quali invece si riveleranno solo congiunturali, svanendo di colpo una volta che ci saremo lasciati alle spalle la fase di emergenza?

Ma veniamo ai dati che emergono dalla ricerca. Nel 2021 la fruizione della televisione ha conosciuto un incremento rilevante, per effetto sia dell’aumento dei telespettatori della tivù tradizionale (il digitale terrestre: +0,5 per cento rispetto al 2019) e della tivù satellitare (+0,5 per cento), sia del boom della tivù via internet (web tivù e smart tivù salgono al 41,9 per cento di utenza: +7,4 per cento nel biennio) e della mobile tivù, che è passata dall’1,0 per cento di spettatori nel 2007 a un terzo degli italiani oggi (33,4 per cento), con un aumento del 5,2 per cento solo negli ultimi due anni. Tendono a crescere quindi sia gli usi tradizionali della televisione, sia quelli innovativi.

La radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media. Complessivamente, nel 2021 i radioascoltatori sono il 79,6 per cento degli italiani, stabili da un anno all’altro. Se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale perde 2,1 punti percentuali di utenza e l’autoradio 3,6 punti (penalizzata dalle limitazioni alla mobilità causate dall’emergenza sanitaria), aumenta l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc (lo fa il 20,2 per cento degli italiani: +2,9 per cento) e attraverso lo smartphone (lo fa il 23,8 per cento: +2,5 per cento). Si registra ancora un aumento dell’impiego di Internet da parte degli italiani. L’utenza ha raggiunto quota 83,5 per cento, con una differenza positiva di 4,2 punti percentuali rispetto al 2019. L’utilizzo degli smartphone sale all’83,3 per cento (con una crescita record rispetto al 2019: +7,6 per cento). E lievitano complessivamente al 76,6 per cento gli utenti dei social network (+6,7 per cento). Sembra essersi arrestata l’emorragia di lettori di libri, che nel 2021 sono il 43,6 per cento degli italiani, con un aumento dell’1,7 per cento rispetto al 2019 (sebbene nel 2007 chi aveva letto almeno un libro nel corso dell’anno era il 59,4 per cento della popolazione). Se si considera che chi ne ha letti più di 3 costituisce una fetta pari al 25,2 per cento, si può affermare che il lockdown ha senz’altro prodotto un riavvicinamento alla lettura. Si registra anche un incremento dei lettori di e-book, pari oggi a un italiano ogni dieci (l’11,1 per cento: +2,6 per cento).

Al contrario, si accentua la crisi ormai storica dei media e stampa, a cominciare dai quotidiani venduti in edicola, che nel 2007 erano letti dal 67 per cento degli italiani, ridotti al 29,1 per cento nel 2021 (-8,2 per cento rispetto al 2019). Lo stesso vale per i settimanali (-6,5 per cento nel biennio) e i mensili (-7,8 per cento). Tra i giovani (14-29 anni) c’è stato un ulteriore passo in avanti nell’impiego dei media, in generale, e delle piattaforme online, in particolare. Il 92,3 per cento utilizza WhatsApp, l’82,7 per cento YouTube, il 76,5 per cento Instagram, il 65,7 per cento Facebook, il 53,5 per cento Amazon, il 41,8 per cento le piattaforme per le videoconferenze (rispetto al 23,4 per cento riferito alla popolazione complessiva), il 36,8 per cento Spotify, il 34,5 per cento TikTok, il 32,9 per cento Telegram, il 24,2 per cento Twitter. Anche tra i più anziani (65 anni e oltre) qualcosa si muove, visto che l’impiego di internet sale notevolmente (dal 42,0 per cento al 51,4 per cento) e gli utenti dei social media aumentano dal 36,5 per cento al 47,7 per cento. Il bisogno di mantenere un contatto, almeno virtuale, con i propri cari nel periodo del più rigido isolamento deve aver giocato un ruolo non indifferente nella confidenza acquisita con la rete dagli ultrasessantacinquenni.

Anche l’andamento della spesa delle famiglie per i consumi mediatici nell’intervallo di tempo tra il 2007 e il 2020 evidenzia come, mentre il valore dei consumi complessivi ha subito una drastica flessione, senza ancora ritornare ai livelli precedenti la grande crisi del 2008 (-13,0 per cento in termini reali è il bilancio alla fine del 2020, con l’aggravamento dovuto alla recessione dell’anno scorso), la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom, di fatto moltiplicando per oltre cinque volte il suo valore (+450,7 per cento nell’intero periodo, per un ammontare di 7,2 miliardi di euro nell’ultimo anno), quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+89,7 per cento), mentre i servizi di telefonia hanno conosciuto un assestamento verso il basso per effetto di un radicale riequilibrio tariffario (-21,1 per cento, per un valore comunque pari a 14,6 miliardi di euro sborsati dalle famiglie italiane nell’ultimo anno) e, infine, la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio crollo dal 2007 (-45,9 per cento).

(*) Funzionario Formez, studioso e docente di Comunicazione, componente direttivo Ferpi Lazio e responsabile dell’Osservatorio sull’andamento del digitale italiano dell’Aidr


di Mauro Covino (*)