Le università protestano: la Columbia inizia a sospendere

Le proteste studentesche in favore di Gaza continuano. Sono entrate nella seconda settimana. Mentre in molte università si avvicina la cerimonia delle consegne dei diplomi di laurea, sono centinaia i manifestanti arrestati finora negli Stati Uniti. La parola d’ordine diventata simbolo della protesta è divest, che sarebbe l’opposto di investire ma ha una sfumatura diversa da disinvestire. Gli studenti chiedono ai vertici universitari di recidere i rapporti economici con Israele, sia vendendo quote in imprese israeliane sia uscendo da accordi con compagnie che fanno affari con Israele. La Columbia University vanta più di 13 miliardi di dollari investiti in compagnie, come Microsoft e Airbnb, che fanno affari con Israele. Altri atenei come Cornell e Yale hanno chiesto ai vertici di porre fine agli investimenti in aziende produttrici di armi. Nessuna università, finora, ha accolto le richieste. Alla Columbia, New York, si registra la situazione più delicata, dopo che è scaduto l’ultimatum (alle 14 di ieri ora locale, le 20 italiane) comunicato dal board ai manifestanti per lasciare il campus. Il vertice universitario ha annunciato l’avvio delle sospensioni nei confronti di chi non ha abbandonato l’area. Nonostante l’ultimatum sia scaduto gli studenti hanno annunciato che proseguiranno l’occupazione. “Non ci faremo intimidire – hanno detto i portavoce dei manifestanti – da questi tentativi che puntano a soffocare la protesta studentesca”.

Nel frattempo, 21 deputati democratici hanno scritto al Consiglio di amministrazione della Columbia chiedendo che la tendopoli degli studenti pro-palestinesi sul campus sia smantellata una volta per tutte. Finora erano stati i parlamentari repubblicani a far pressione sui leader dell’università per porre fine alla protesta studentesca. “È ora che l’università agisca con decisione e assicuri la sicurezza di tutti gli studenti sgomberando l’accampamento. Il tempo dei negoziati è scaduto”, hanno scritto i deputati. “La responsabilità ultima spetta al Consiglio di amministrazione. Chi non se la sente, si deve dimettere”. Hanno firmato la lettera, tra gli altri, i moderati Josh Gottheimer e Dan Goldman, l’ex leader della maggioranza Dem alla Camera Steny Hoyer e i colleghi Adam Schiff, Dean Phillips, Debbie Wasserman Schultz e Ritchie Torres. La scorsa settimana, con il leader della maggioranza repubblicana alla Camera Mike Johnson in prima fila, numerosi deputati del Gop avevano chiesto le dimissioni della presidente Minouche Shafik che, pur avendo chiamato la polizia sul campus, era stata giudicata troppo debole per gestire la situazione. Ieri la Shafik ha fatto una dichiarazione impegnandosi a far tenere regolarmente le cerimonie di laurea a dispetto delle proteste sul campus. La presidente ha detto anche che i negoziati con gli studenti sono risultati un buco nell’acqua: “Purtroppo non abbiamo trovato un accordo su come sgomberare l’accampamento e far rispettare le regole della Columbia”.

All’università del Texas, ad Austin, agenti in assetto antisommossa hanno arrestato sei persone, che però non risulterebbero studenti ma persone esterne che hanno utilizzato il campus per portare avanti le proteste. La polizia ha dichiarato di aver sequestrato mazze da baseball. Alla Virginia Tech la polizia ha fermato novanta persone, di cui 54 studenti. Numerosi arresti anche all’Università della Georgia, ad Athens, dove nel campus sono state allestite tende. L’Università della Pennsylvania ha messo attorno all’area del campus una serie di cartelli con l’avviso a “non oltrepassare” la proprietà privata. I vertici di Brown University, nello Stato del Rhode Island, hanno offerto ai manifestanti la possibilità di discutere a maggio le possibili dismissioni dei rapporti economici con Israele, a patto che il campus venga “liberato in modo pacifico nei prossimi giorni e non vengano messe in atto altre manifestazioni di protesta non autorizzate”.

Anche in Italia dilaga la protesta universitaria. Dopo le manifestazioni del 25 aprile e il “ponte” che ha svuotato le città universitarie, riparte negli atenei italiani l’organizzazione della protesta pro-Gaza anche in vista dell’appuntamento del maggio, che vedrà una grande partecipazione studentesca a Firenze. A fare da sfondo, le iniziative nelle università degli Stati Uniti ma anche quanto sta avvenendo alla Sorbona di Parigi contro la guerra in corso nella Striscia di Gaza. Ieri la polizia è intervenuta all’università francese per sgomberare gli attivisti filo-palestinesi che avevano occupato con delle tende la prestigiosa università, bloccandone l’attività. Intanto il movimento dei Giovani palestinesi d’Italia (Gpi) lancia la mobilitazione per il giorno in cui si ricorda la Nakba. “Il 15 maggio accampiamoci nei cortili degli atenei”: è l’invito del movimento. Alla Sapienza di Roma ieri pomeriggio si sono riuniti i giovani dei collettivi per organizzare la ripresa della protesta ma hanno trovato una amara sorpresa: il pratone nel quale si radunavano è stato chiuso, il rettorato ingabbiato e ai ragazzi, una settantina, che avevano smontato le tende per le festività del 25 aprile ma che intendevano rimontarle in queste ore, non è rimasto che spostarsi di alcuni metri per riunirsi in assemblea in un altro punto verde della città universitaria e decidere che linea assumere. Nel frattempo a Genova gli studenti dei collettivi sono stati in presidio durante la riunione del Senato accademico e chiedono la convocazione di un Senato accademico straordinario con la presenza di studenti, docenti, ricercatori e personale amministrativo, “per ottenere – dicono – il dialogo tanto declamato dal rettore Delfino e per parlare di un documento in cui si esige che l’università interrompa ogni tirocinio collegato con la filiera bellica”. Ad essere contestato è anche il tirocinio “Mare aperto” sulle navi della Marina militare, “la stessa Marina militare – scrivono i giovani sui social – coinvolta ora nella mission Aspides in guerra con lo Yemen e a sostegno di Israele”.

Aggiornato il 30 aprile 2024 alle ore 12:26