La crisi nel Mar Rosso e la storia degli Houthi

Non chiedo assolutamente riconoscimenti per la serie di denunce e di allarmi fatti attraverso le mie note ormai da circa due mesi relative ai danni generati dagli attacchi Houthi sul Mar Rosso; le mie erano anticipazioni banali che avremmo capito solo dopo. Oggi però finalmente quelle che inizialmente qualcuno ha definito “gratuiti allarmismi”, “denunce di un fenomeno passeggero e superabile nell’arco di poche settimane”, trovano un riscontro nelle dichiarazioni prodotte dal Presidente della Associazione logistica dell’intermodalità sostenibile (Alis) Guido Grimaldi che nella giornata di Let Expo (la più grande rassegna del trasporto e della logistica sostenibili) in corso di svolgimento a Verona, ha dichiarato: “Il settore della logistica si trova di fronte a cambiamenti epocali causati soprattutto da tensioni internazionali come la crisi del Mar Rosso che minaccia i flussi commerciali mondiali. Consideriamo ad esempio che gli scambi Italia-Cina corrispondono a 154 miliardi di euro pari al 40 per cento del totale dell’import-export che passa per il canale di Suez. La scelta di circumnavigare l’Africa, giungendo allo Stretto di Gibilterra e quindi lontano dai porti italiani, si sta traducendo in aumento dei giorni di navigazione, almeno tra i 10 e i 15 giorni in una crescita dei noli marittimi del 200 per cento rispetto al 2023; in aumento delle polizze assicurative, spesso decuplicate, con extra-costi per il singolo passaggio di una nave media di 400mila euro; in una grande perdita di traffici in Italia in favore dei porti del Nord Europa, come Anversa e Rotterdam. A Trieste, nel primo bimestre 2024, il traffico dei contenitori è calato del 25 per cento sull’anno precedente e a Livorno del 35 per cento”.

Eppure, sempre secondo Grimaldi prima della crisi nel Mar Rosso, cioè nel 2023, erano stati raggiunti risultati davvero encomiabili nella integrazione tra il trasporto marittimo e il trasporto ferroviario abbattendo in tal modo in modo sostanziale le emissioni climalteranti prodotte dal trasporto su strada; in particolare grazie ad Alis attraverso al sistema “mare-ferro” nel 2023 è stato possibile raggiungere i seguenti risultati: 6 milioni di camion sottratti dalle autostrade italiane, 143 milioni di tonnellate di merci trasferite dalle autostrade verso la intermodalità, attraverso i porti e gli interporti italiani, e 5,4 milioni di tonnellate di Co2 abbattute.

Cioè, questi dati denunciano chiaramente che il danno creato dalla emergenza “Mar Rosso” colpisce in modo davvero grave la nostra portualità e la nostra offerta ferroviaria. E la colpisce in un momento in cui si stava confermando, come riferimento chiave per la logistica del nostro Paese, proprio il ricorso all’uso combinato tra il trasporto marittimo e il trasporto terrestre attraverso la nostra rete ferroviaria. Invece ora dobbiamo, purtroppo, assistere a un trasferimento di enormi quantità di merci verso la portualità del Nord Europa e dopo gli sbarchi in tali impianti portuali assisteremo a una canalizzazione delle merci su reti stradali, per trasferirle nei nostri Hub logistici. In realtà, questo grave atto bellico nel Mar Rosso sta praticamente cambiando itinerari logistici che ormai erano diventati il riferimento chiave dell’intero teatro economico rappresentato dal bacino del Mediterraneo.

Più volte avevo infatti ricordato un dato altamente significativo: nel solo un per cento dell’intero specchio acquifero del pianeta si movimenta oltre il 22 per cento delle merci. E questo dato, in realtà, testimoniava non solo il ruolo e la funzione del bacino del Mediterraneo ma anche i vincoli obbligati e i relativi vantaggi che il transito garantiva alla nostra portualità e a quella dei porti dell’intero bacino. E, cosa ancor più grave, rappresentava per un Paese come l’Egitto un introito determinante per la sua sopravvivenza economica. Ora dobbiamo avere il coraggio di ammettere che questo preoccupante fenomeno bellico non potrà trovare una soluzione in breve tempo. E, per capire tutto questo, penso sia utile capire quale sia il livello organizzativo, strutturale di tale folle schieramento bellico.

La guerra è tra gli Houthi, gruppo di ribelli sciiti sostenuti e finanziati dall’Iran, e il Governo yemenita riconosciuto da buona parte della comunità internazionale, che è invece appoggiato da una coalizione di Paesi guidata dall’Arabia Saudita.

Oggi i ribelli Houthi controllano il nord-ovest del Paese, compresa la capitale Sana’a, e gran parte dei territori costieri sul Mar Rosso: sono più influenti e potenti del Governo yemenita, che ha sede ad Aden, nel sud ovest, e che si sta dimostrando incapace di fermare gli attacchi compiuti dagli Houthi contro le navi cargo nel Mar Rosso. In Yemen ci sono inoltre diverse basi di al-Qaida organizzazione terroristica attiva soprattutto nel sud e nemica sia dei ribelli Houthi che del Governo yemenita. La guerra civile in Yemen iniziò nel 2014, quando gli Houthi, concentrati soprattutto nel nord del Paese, cominciarono a conquistare territori verso sud fino ad arrivare alla capitale Sana’a, dove costrinsero il presidente Abd Rabbu Mansur Hadi a fuggire prima nella città meridionale di Aden e poi in Arabia Saudita. A quel punto l’Arabia Saudita, per non dover gestire alle sue frontiere la presenza di un gruppo sciita alleato con l’Iran, suo storico nemico, avviò una massiccia campagna di bombardamenti contro gli Houthi, proseguita poi a fasi alterne per diversi anni. Lo Yemen era già da tempo uno dei Paesi più poveri del Medio Oriente, era considerato uno “Stato fallito”, aveva un’Amministrazione pubblica corrotta e inefficiente e un governo incapace di controllare il territorio e mantenerlo sicuro.

La situazione in Yemen degenerò ben presto in una guerra civile, con l’Arabia Saudita a sostenere le forze del Governo yemenita e l’Iran gli Houthi, armandoli e addestrandoli: anche per questo molti analisti definirono quella in Yemen una “guerra per procura”, in cui due Stati rivali si combattono indirettamente in un territorio terzo. Per l’Arabia Saudita le cose si complicarono ulteriormente nel 2019, quando gli Emirati Arabi Uniti, preziosissimi alleati nella guerra, si ritirarono dalla coalizione.

Porti e aeroporti vennero bloccati, ampie porzioni del Paese vennero bombardate e distrutte e cominciò un’epidemia di colera che causò la morte di migliaia di persone. La guerra provocò una gravissima crisi umanitaria, con oltre 350mila morti e milioni di persone che ancora oggi soffrono la fame e hanno condizioni di vita estremamente precarie: ancora all’inizio del 2023, prima della guerra nella Striscia di Gaza, l’Onu definiva la crisi umanitaria in Yemen come la più grave del mondo.

Mi sono dilungato forse troppo nella descrizione del grave “fenomeno Houthi” ma l’ho fatto per chiarire, una volta per tutte, che le gratuite illusioni di un superamento a breve del conflitto, di un ritorno a breve della fluidità dei transiti lungo Suez, del ritorno alla crescita della movimentazione dei nostri porti, al rilancio di quella intermodalità dichiarata nell’intervento del presidente Grimaldi, purtroppo sono solo ipotesi che non trovano alcuna certezza in un possibile ritorno alla normalità. Ed allora prepariamoci, come da me anticipato poche settimane fa, a:

– chiedere alla Unione europea insieme a tutti i porti comunitari del Mediterraneo un apposito fondo mirato ad abbattere i costi sostenuti dalle compagnie marittime obbligate ad effettuare il periplo del continente africano; in particolare un incentivo per le navi che entrano attraverso Gibilterra nel Mediterraneo;

– costruire apposite alleanze gestionali tra tutti i porti comunitari del Mediterraneo in modo da superare insieme, attraverso una valida ottimizzazione dei costi, la offerta portuale e le possibili forme di intermodalità.

Rimanere “freddi”, cioè continuare a sottovalutare il fenomeno non solo è rischioso ma ho paura che altri Paesi come la Spagna e la Grecia, titolari di porti come Algeciras, Valentia e Pireo, stiano già trattando con le compagnie che gestiscono la movimentazione container e stiano, in modo autonomo, offrendo condizioni vantaggiose in caso di ingresso nel Mediterraneo. Non mi risulta che si stia facendo qualcosa da parte nostra; quando lo capiremo sarebbe sempre troppo tardi.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 07 maggio 2024 alle ore 10:49