Meloni venda la Rai

La recente polemica sulla presenza/assenza dello scrittore Antonio Scurati, che su Rai 3 avrebbe dovuto leggere un monologo sul 25 aprile che poi è stato annullato per diverse ragioni, sembra anche di natura economica riferita al suo compenso, ha scatenato l’ennesima protesta della sinistra sull’occupazione del servizio pubblico e sulla presunta censura. Premettendo che in tanti hanno letto in diretta, pubblicato sui social (Giorgia Meloni compresa) e osannato a reti unificate il testo del monologo, peraltro anche sugli altri canali Rai, e lo spazio che i “giornaloni” gli hanno riservato, Antonio Scurati dovrebbe essere contento della vicenda e del risalto mediatico che è stato dato al suo elaborato testuale.

C’è stata una sollevazione generale a sinistra contro una presunta “censura di Stato” operata dal Governo Meloni, che fa il paio, dicono i soloni della socialdemocrazia nostrana, con il fatto che sono stati accompagnati alla porta diversi esponenti dell’azienda di viale Mazzini non omologati al nuovo verbo meloniano, senza riguardo per la professionalità che li ha sempre contraddistinti negli anni del centrosinistra al potere. Si fa finta, però, di non vedere che di contro hanno ricevuto offerte economicamente molto vantaggiose dalla concorrenza e hanno liberamente scelto di offrire la propria esperienza ad altri soggetti in cambio di “denaro”. Sono le gioie del libero mercato, che garantisce al contempo libertà e ricchezza a molti, ex Rai compresi, che hanno potuto scegliere a chi offrire i propri servigi in cambio di adeguati emolumenti.

Il tema però non sono i compensi, che più alti sono meglio è per tutti, ma se sia necessario che lo Stato debba garantire un servizio elefantiaco di informazione e comunicazione ufficiale e se sia giusto che i contribuenti debbano pagare per avere un’azienda televisiva che cambia orientamento culturale ogni qual volta mutano i rapporti politici a seguito delle elezioni. La lottizzazione della Rai non è cosa solo di oggi e, se le cose rimarranno invariate, lo sarà anche di domani. E quando e se la sinistra ritornerà al Governo, il cavallo in bronzo opera dello scultore siciliano Francesco Messina di viale Mazzini sarà montato dai loro sodali. Nulla di illecito perché lo prevede una legge voluta e votata proprio da quel Partito democratico che oggi invoca la pluralità delle opinioni.

Capita pure che ci si appelli alla libertà di parola per Antonio Scurati, e contemporaneamente la si vorrebbe però togliere alla vicedirettrice del Tg1, Incoronata Boccia, che ha detto durante una trasmissione che a parere suo si scambia “un delitto, l’aborto, per un diritto”, chiedendone l’allontanamento dalla Rai stessa. Questa apparente schizofrenia nel chiedere libertà per alcuni e censura per altri, è colpa dell’idea che ha determinato la nascita della Rai: avere un’informazione di Stato, ufficiale, che proclami le verità che decide il Governo di turno. La Rai è infatti un’invenzione di Benito Mussolini e del ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano (suo consuocero) che nel 1924 con il nome di Unione radiofonica italiana, poi Ente italiano per le audizioni radiofoniche (Eiar) nel 1927, poi nel 1944 Radio audizioni italiane (Rai) la fondarono per inondare di propaganda littoria l’etere italiano, trasmettendo i discorsi del Duce e le varie notizie “verificate” e “veritiere” date dal Governo.

Le veline vennero così veicolate nelle case del fascio dalla mamma Eiar, dove furono installate le radio da cui gli italiani scoprirono di essere entrati in guerra con il mondo libero. Un’opera di formazione dell’opinione pubblica basata sul controllo della comunicazione a 360 gradi. Infatti, Mussolini nel terzo anniversario della marcia su Roma (Milano - 28 ottobre 1925) disse: “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”. Giorgia Meloni oggi avrebbe in mano la carta che può tagliare ogni sterile polemica sulla sua adesione sincera ai valori antifascisti della Costituzione una volta e per tutte. Potrebbe d’un colpo stroncare ogni “fascismo” perenne o transitorio, presente e futuro, di destra e di sinistra, potrebbe affrancare l’informazione e contestualmente abbassare le imposte agli italiani (a cui peraltro sono molto interessati), facendo un atto storico e coraggioso.

Quale? Vendere la Rai, consegnandola al supremo tribunale del libero mercato e agli italiani, che potrebbero investire i loro risparmi in azioni della nuova privata società radiotelevisiva o il loro tempo, semplicemente guardandone i programmi. La renderebbe veramente libera dall’ingerenza dei partiti e competitiva, potendo la nuova governance decidere di investire su un settore piuttosto che in un altro, in funzione dei ricavi previsti senza ascoltare le sirene del potere, di pagare parcelle onerose a un professionista senza tenere conto dei vincoli a cui un’impresa di Stato deve sottostare per legge. Questa, sì, che sarebbe un’autentica rivoluzione: quella di emancipare l’informazione dalla politica e dalla burocrazia, privatizzando il primo polo televisivo in Italia e una delle più grandi aziende di comunicazione d’Europa, quinto gruppo televisivo del continente. Siamo certi che gli autentici antifascisti della minoranza sarebbero lieti, in nome della democrazia, di poter contribuire a smantellare una centenaria istituzione voluta dal fascismo, ma la prima picconata dovrà essere la sua. Presidente Meloni abbia il coraggio di agire: venda la Rai.

Aggiornato il 24 aprile 2024 alle ore 09:39