Lo studio della lingua da parte dei migranti

venerdì 29 maggio 2015


Nel nostro Paese, il fenomeno migratorio ha ormai assunto dimensioni tali da poter essere ormai considerato un fenomeno strutturale. Il tema dell’immigrazione, quindi, risulta strettamente connesso a tematiche concernenti l’integrazione, che fin troppo spesso viene concepita come “assimilazione” del migrante alla cultura del Paese che lo ospita. In realtà, presupposto fondamentale dell’integrazione è la partecipazione attiva dello straniero alla vita del Paese ospite: così come il migrante deve rispettare le leggi e adeguarsi alle regole interne del Paese in cui è arrivato, allo stesso tempo quest’ultimo dovrebbe poter mettere lo straniero in condizione di vivere bene nel Paese che lo accoglie e contemporaneamente di non dover rinunciare alla propria identità. Un elemento essenziale nel processo di integrazione è rappresentato dalla lingua. Infatti, senza una conoscenza linguistica adeguata sarà impossibile per il migrante non solo accedere a mansioni qualificate, ma anche intraprendere un qualsiasi percorso d’integrazione.

L’integrazione linguistica degli stranieri in Italia è stata “istituzionalizzata” dapprima mediante il decreto del 4 giugno 2010, il quale ha inserito la conoscenza della lingua italiana - almeno di livello A2 - tra i requisiti necessari per l’ottenimento dell’ambita Carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (documento di durata illimitata - e quindi affrancato dall’obbligo di rinnovo - che un immigrato non comunitario può richiedere dopo un soggiorno regolare e continuativo di almeno cinque anni e che non solo dispensa dall’obbligo di stipulare un contratto di soggiorno e consente il reingresso in Italia senza visto, ma dà anche diritto all’assistenza previdenziale e all’accesso agli alloggi di edilizia pubblica).

A questo atto è seguito, il 28 luglio del 2011, il Regolamento attuativo dell’Accordo di integrazione: si tratta di un accordo, istituito circa un anno prima, che ogni non comunitario ultra 16enne che fa ingresso per la prima volta in Italia (per motivi di lavoro - tramite il decreto flussi - o per ricongiungimento familiare o come rifugiato o con protezione internazionale) deve sottoscrivere contestualmente alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno. L’accordo prevede il raggiungimento di una serie di obiettivi nell’arco di due anni, ai quali corrispondono dei punteggi: se in questo periodo non ne saranno stati raggiunti, rispetto a un massimo di 30, almeno 17, l’accordo sarà prorogato di un anno per consentire il “recupero” dei crediti; mentre se i punti saranno meno di 17 il permesso di soggiorno non potrà essere rinnovato e il non comunitario verrà espulso. Tra gli obiettivi “a punteggio” previsti (partecipazione a un corso di educazione civica organizzato dalle Prefetture, conseguimento di titoli di studio, formazione professionale, iscrizione al Servizio sanitario nazionale, stipula di un contratto di locazione o di acquisto di una casa) vi è, appunto, anche la conoscenza della lingua italiana almeno a livello A2.

Dunque, secondo le ultime normative, gli stranieri che chiedono di vivere in Italia hanno l’obbligo di attestare la conoscenza della nostra lingua. Tuttavia, il carattere di obbligatorietà non si profila per chi dovrebbe garantire le condizioni affinché tale apprendimento abbia luogo. Lo Stato italiano in quanto tale, al di là delle iniziative benemerite di singoli e di gruppi, non ha mai avviato una seria e sistematica azione nel campo dell’integrazione linguistica degli immigrati. Inoltre, è importante sottolineare come la questione dell’integrazione linguistica non riguardi solo i migranti adulti, ma anche tutti coloro che si collocano in età scolare. Spesso, infatti, ci troviamo di fronte a classi caratterizzate da una presenza linguistica assolutamente eterogenea, la quale determina il sorgere di una serie di problematiche relative all’accoglienza di lingue e culture diverse nelle scuole che hanno messo in evidenza, con maggior forza, aspetti didattici, organizzativi e relazionali poco adeguati non solo alla gestione del plurilinguismo e del multiculturalismo. Tuttavia, la presenza di alunni stranieri nelle scuole italiane non deve essere vista come una problematica insormontabile, ma deve rappresentare per la scuola italiana, e rappresenta tuttora, una sfida e uno stimolo per rinnovarsi.

L’accoglienza è solo la prima fase del lungo percorso per l’integrazione o inter-azione sociale e scolastica di persone di culture e lingue diverse, che deve avere come obiettivo principale la garanzia delle pari opportunità di successo scolastico, in primo luogo garantendo la possibilità di accedere alle informazioni e al sapere, quindi di sviluppare le proprie competenze e la propria personalità (o meglio ancora la propria identità personale e culturale). Dare ai genitori e agli studenti stranieri la possibilità di accesso alle informazioni vuol dire che esse devono, per esempio, conoscere il funzionamento della scuola e del sistema formativo italiano e questo è possibile solo se le informazioni sono fornite anche nella lingua di origine. Una buona parte dei genitori stranieri (e dei loro figli), infatti, non conosce il sistema scolastico italiano, le regole della scuola, il suo funzionamento; se il genitore poi è da poco tempo in Italia non conosce nemmeno la lingua e dunque incontra enormi difficoltà nel comprendere i moduli di iscrizione, le domande per accedere ai servizi di mensa e trasposto, per scegliere di avvalersi o non avvalersi della religione cattolica e gli avvisi scuola-famiglia. È dunque importante che le segreterie scolastiche, gli insegnanti e i dirigenti possano avere a disposizione tutta una serie di modulistica tradotta in più lingue, una guida alla scuola italiana e un vademecum aggiornato con i servizi offerti dal singolo istituto scolastico, le sue regole, gli indirizzi e i numeri di telefono utili per i genitori stranieri (dall’ufficio scuola del comune, all’ambulatorio dove effettuare le vaccinazioni, alle associazioni presenti sul territorio).

Alla luce delle problematiche evidenziate, la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu) chiede che venga istituito presso le scuole di ogni ordine e grado e le università l’insegnamento obbligatorio della lingua italiana per stranieri, realizzato da parte di insegnanti qualificati e formati per svolgere tale compito, anche con il sostegno di mediatori linguistici e culturali. Tale insegnamento dovrà avvenire di pari passo con lo studio e l’apprendimento delle altre materie previste nei programmi scolastici delle scuole ospitanti, in maniera tale da favorire, e non ostacolare, i processi di integrazione. Per quanto riguarda i migranti adulti, è necessario a nostro parere potenziare i già esistenti corsi d’italiano previsti, aumentando le informazioni disponibile in ordine all’accesso e alla fruibilità degli stessi.


di Ilaria Nespoli