Personaggi leggendari: Ulisse

lunedì 22 novembre 2021


La sconfitta di Troia è dovuta ad un inganno. E l’ingannatore non può aver nome che: Ulisse. Concepisce un grandioso cavallo di legno, fingendo di farne regalo ai troiani, togliere l’assedio e tornare alle patrie terre. Dieci anni di guerra, bastano. Questo l’inganno. Nel ventre del cavallo di legno si occultano i greci. I Troiani credono al dono dei greci. Ricevono il cavallo come segno di pace. Ma dal cavallo, ormai a Troia, escono i guerrieri greci. E per Troia c’è la fiamma, la spada, e la disfatta. Ed ora, anche Ulisse può rivedere la sua terra. Il viaggio di Ulisse per riabbracciare Itaca e i congiunti è il Viaggio, va oltre Ulisse anche se proprio di Ulisse, è il viaggio dell’uomo, dell’umanità nei gorghi dell’esistenza, pericoli ovunque, attrattive abissali, e tuttavia lottare per giungere alla meta. L’astuto Ulisse ha maniera per impegnare le sue doti, e le impegna spesso sull’orlo del precipizio.

Parte, con i compagni, Poseidone non gli consente un viaggio rassicurato, è costretto, Ulisse, a persistenti approdi, la Terra dei Ciconi, da cui riceve il vino che gli sarà giovevole; la terra dei Lotofagi, mangiatori di Loto, dove è ospite senza danni, ma con la possibilità che il Loto faccia dimenticare il passato, la meta, la Patria, i parenti; la terra dei giganteschi Ciclopi, orrendi anche per quell’unico vasto occhio in mezzo alla fronte. Trovano una caverna, Ulisse e i compagni, affamati, assetati: latte, formaggi enormi. Prenderli e fuggire. Ma Ulisse vuole ringraziare chi gli permette alimenti. Torna il pastore, il gran Ciclope, ma non ha maniere ospitali, piuttosto ferocia cannibalesca, mangia due marinai. Ulisse comprende che finiranno tutti divorati, offre del vino che aveva ricevuto in dono al Ciclope, che lo gusta, e ne beve, tanto da inebriarsi e stramazzare di sonno, sbarrando l’ingresso della caverna. Che fare? Ma Ulisse è Ulisse. Un tronco, reso appuntito, bruciato, è conficcato nell’occhio del Ciclope, si alza costui, urla, invoca aiuto, ma Ulisse quando il Ciclope volle sapere il nome di chi gli offriva la bevanda si diede per nome Nessuno, e immaginando che il Gigante avrebbe alla cieca tastato chi usciva dalla caverna fa ricoprire i compagni di pelle degli armenti.

Polifemo, il Ciclope, non si accorge che sotto le pelli vi sono gli uomini. Urla, invoca soccorso, occorrono altri Gìganti, ma chiedendo a Polifemo chi gli reca male e rispondendo Polifemo: Nessuno, i Giganti confondono il Nessuno uomo con niente, nessuno, e se nessuno reca male a Polifemo perchè chiamare soccorso e soccorrere? I Giganti se ne vanno infastiditi. Polifemo scaglierà macigni alla nave di Ulisse che si allontana, raggiungendo l’Isola di Eolo, Dio dei venti, costui gli consegna un otre da non forare, contiene venti che farebbero sconvolgere le navi, i marinai, la apriranno in prossimità di Itaca, che pare irraggiungibile. Ancora vicende, i Lestrigoni, giganteschi come i Ciclopi, e divoratori di uomini. La Maga Circe, creatrice di filtri che mutano gli uomini in porci, Ulisse riuscirà a rigenerare i compagni snaturati con l’ausilio del Dio Ermes. Deve scampare alle Sirene dal melodioso canto che paralizza, Ulisse si chiude gli orecchi per non udirlo. Ma adesso i Mostri Scilla e Cariddi assaltano le navi, Ulisse scampa ancora. Se non lo fermano i Mostri e i Giganti lo ferma la Ninfa Calipso, bella, amorosa, ancora una volta il Dio Ermes esige che Ulisse parta. E giunge nell’Isola dei Feaci, la fanciulla Nausicaa, figlia del Re locale, Alcinoo, lo scorge, naufrago, e lo conduce al Re, dal quale è accolto con generosità. Costruita una imbarcazione, Ulisse riparte con i pochi superstiti; raggiunta, infine, Itaca, sotto travestimento, Ulisse è riconosciuto subito dal cane Argo, appena un momento per risentire l’odore del padrone, ed Argo muore!

Si svela al vecchio padre, Laerte, ma non alla consorte. Itaca è soggiogata dai Proci, i quali vogliono che Penelope, fedele sposa di Ulisse, scelga uno dei loro. Penelope ha messo a condizione che sposerà quando compirà una tessitura che lei trapunta di giorno, dissolta però di notte. Ma ora, alle strette, dichiara che avrà sposo chi piegherà un arco di Ulisse. I Proci non ne sono capaci. Ulisse, ancora in veste di mendicante, schernito dai Proci, si vuole mettere alla prova. Riscalda l’arco, riesce a tenderlo e colpisce, insieme al figlio Telemaco, al quale si è svelato, i Proci. Penelope dubita che l’uomo sia Ulisse. Poi lo riconosce. In tutte queste vicissitudini Atena (Minerva) ha sempre tutelato Ulisse. Il tempo corre. Ulisse, tornato ad Itaca, uccisi i Proci, ritrovati la fedele Penelope, il figlio Telemaco, il padre Laerte, il suo regno, la sua gente, la pace, ha però il morbo dell’inquietudine viaggiativa, il mondo non è Itaca, Itaca è l’approdo, il luogo nel quale tornare, il luogo della Patria, il luogo familiare, ma anche il luogo da cui partire per spaziare nei mari e nelle terre, e conoscere, conoscere, conoscere, e vivere, vivere, vivere, e osare, avventurarsi, esaltarsi di novità. Anche mettendo a rischio l’esistenza.

Se è stato Poseidone (Nettuno), il Dio che gli impedì il ritorno ad Itaca sbattendolo da una spiaggia all’altra, ora è lui stesso che decide di andare di spiaggia in spiaggia. Parte ancora. Parte nuovamente. E non doveva essere giovane. Ma la sua cupidigia di eventi oltrepassa l’età. Parte. Lascia Itaca, Penelope, Telemaco, e vola nei mari, e si inoltra, e non ha meta, pur di avanzare, e vola ancora, giunge al: Non so dove, è il suo mare prediletto, il: Non so dove, e lo naviga, lo naviga al punto che vi si perde come un’aquila invisibile nei cieli estremi. Così voleva essere, così immaginammo che fosse. Una morte definibile lo avrebbe limitato. E Ulisse viaggia ancora. Forse ha incontrato Cristoforo Colombo, Magellano, Vasco de Gama! Abbiamo necessità di pensare oltre la realtà. Con Ulisse l’umanità ha concepito il sogno più entusiasmante per se stessa. Ulisse è un Dedalo a cui reggono le ali, è un Leonardo da Vinci, è un Dottor Faust, è l’Uomo quale dovrebbe essere, quale potrebbe essere, nel breve percorso della breve esistenza, oltrepassare la vita nella vita durante la vita e che la morte ci colga con ali aperte! Nella vicenda di Ulisse non vi era un Fato riconoscibile, vi era il Fato “naturale”, quando Atropo recideva il filo. Ed anche se tutto, per i Greci, veniva deciso dal Fato e dagli Dei, Ulisse ci appare come un uomo libero che ha voluto quel che ha vissuto.

Fato, libertà, tragicità

Per cogliere il mondo greco, le sue concezioni è necessario evidenziare che, a differenza del mondo cristiano successivo, i Greci negavano la libertà delle scelte e della nostra sorte da parte di noi stessi. Come accennato (ne scrivo con maggior rilievo nel mio libro: Il racconto del pensiero) per i Greci il Fato e gli Dei stabilivano i percorsi di ciascuna esistenza, sia la nascita e la morte, sia, ripeto, la sorte sulla Terra. Ma se le vicende si svolgessero come una sottomissione serena, perfino tranquilla ai disegni delle potenze sovraumane, mancherebbe l’aspetto veemente che fa della civiltà greca la civiltà della tragedia. Gli uomini greci lottano contro i disegni del Fato e degli Dei. Stupefacente: anche se tutto è prestabilito gli uomini fino allo spasimo tentano di svellere la sottomissione al Fato e agli Dei, gli uomini combattono Fato e Dei. Questo duello costituisce, fonda il tragico. È destino che Achille venga ucciso, è decretato dalle potenze oracolari, eppure Achille si batte, guerreggia, vince, ed è a tale grado impetuoso di vitalità che non sembra possibile muoia. Si che il “fatalismo” greco è l’opposto della rassegnazione, anzi è una sfida contro il Destino, e noi parteggiamo con l’uomo che tenta di sovvertire la fatalità. L’uomo greco o vuole il Fato o tenta di sovvertirlo, mai è fatalista. Questo ci fa sentire la civiltà greca come la più vitale e tragica della storia.


di Antonio Saccà