“L’ispettore generale”: quando il falso sembra vero

giovedì 13 gennaio 2022


Che effetto fa la paura che altri scoprano le nostre malefatte? Per esempio, quello di assumere medicine fake per una cura immediata, come quelle che ci vengono somministrate dalla divertente commedia di Nikolaj Vasil´evič Gogol L’Ispettore generale, di cui una rivisitazione va in scena (fino al 16 gennaio) al Teatro Quirino di Roma, interpretato e diretto da Enrico Guarneri, nell’ambito del progetto Teatrando. La chiave della trasposizione di un testo bello quanto “etnico”, nel senso che la relativa interpretazione non può che avvenire all’interno della Grande anima russa (in cui si esalta la lingua, l’espressione, l’intonazione baritonale delle voci e la postura attoriale come negli spettacoli tradizionali giapponesi del ), è riservata alla genialità espressiva del dialetto siciliano che Guarneri porta alla (quasi) perfezione assoluta, corredandolo di correnti espressive e facciali assolutamente autoctone che, occorre dire, il resto della compagnia non è in grado di assecondare nei diversi ruoli comprimari della commedia. Nella regia, però, il giacimento di significati/significanti dell’impianto gogoliano viene perfettamente mantenuto, risolto e propalato, come si farebbe in una riuscita propaganda politica. Perché, in fondo, ovunque si trovi, si sviluppi e respiri, i vizi e virtù dell’umanità sono al contempo localizzati e universali. Si spostano, cioè, come le correnti atmosferiche, ora un po’ più alto, ora un po’ più in basso, ma le loro polveri sospese, i nostri peccati comuni, ricadono a terra tutte allo stesso modo.

E il vettore che le porta giù, lì nel profondo abisso delle loro bassezze, è sempre quello, ubiquitario e onnipresente, unico e diabolico: il dio Denaro e i vizi dell’Ambizione, della Cupidigia, dell’Invidia e del Tradimento che ne sono i fedeli corifei, pronti a servirlo e a servirsene in ogni modo e in tutte le modalità, indipendentemente dal sesso, dal ceto e dal censo. Poi, però, per fortuna che il Padreterno, o Madre Natura, se lo si crede più appropriato, hanno formato un rimedio e un lenimento per chi è vittima degli abusi e dei soprusi di ricchi e potenti, ma anche di quelli che sono appena un po’ al di sopra della povertà nera: la minaccia dell’Inquisitore. Colui, cioè, che arriva senza preavviso (alla stregua della mitica Morte) mandato sempre da un Potere superiore, sovraordinato moralmente alle miserie degli inferiori che, in questo caso, coincidono con i responsabili politico-amministrativi di una cittadina di provincia, in cui i suddetti grassatori e approfittatori hanno un capo malandrino indiscusso nel proprio Sindaco, accompagnato dalla sua intima corte medievale di postulanti e vassalli. Questi ultimi, sempre a caccia di un favore, di una raccomandazione, così come di qualche briciola di potere che cada dalla tavola del grande boss, rappresentano la peggiore feccia della società, pronti, se responsabili dell’assistenza pubblica, a togliere le medicine a vecchi e malati, per intascare i proventi delle sovvenzioni pubbliche, perché poi chi si salva, curato o meno, ci riesce sempre da solo!

Per non parlare, poi, del sovraintendente scolastico, che si tiene i peggiori elementi dell’educazione pubblica perché “mandarli via non si può”, dato che, si sottintende, pur sempre un santo protettore da non scontentare mai ce l’hanno anche loro! E l’ufficiale postale, di cui si chiede la complicità per la violazione della corrispondenza privata e personale, come accade ne Le vite degli altri? Lui non ha bisogno di essere stimolato al tradimento della sua missione di funzionario pubblico, perché quella marcia corruttiva lui ce l’ha incorporata nella sua macchina psicologica, in cui il diritto di infedeltà è in dotazione dalla nascita: non c’è bisogno che l’Autorità costituita gli chieda di violare, perché lui l’avrebbe fatto in automatico, annientando così la sorpresa dell’imprevisto che, all’epoca dei fatti, correva con il postale a cavalli e la corrispondenza ministeriale recapitata a mano dal portalettere locale. Per non parlare, poi, del presidente del Tribunale, ovviamente il primo da incarcerare per malefatte e incompetenza stellare, tant’è che, come in Don Raffaè di deandreiana memoria lui nelle stanze del tribunale ci alleva le galline, perché poi tanto i poveracci i soldi per gli avvocati non ce li possono avere per stare in giudizio! Così, vittime di una fake new, tutta questa bella banda di traditori infedeli, complici moglie e figlie, cadono vittime del raggiro di un autentico dandy perdigiorno e squattrinato, scambiato per il magico castigamatti dell’Ipettore Generale ministeriale!


di Maurizio Bonanni