Senso oggettivo e senso soggettivo

lunedì 16 maggio 2022


Scrivendo di tempi passati, viene da notare qualche differenza. Il Medioevo ci rappresenta una figura peculiare. Il sacerdote e il monaco che cercano e trovano animosamente Dio. Ho avuto modo di accennare, l’era di mezzo è l’epoca in cui l’uomo ha bisogno della trascendenza, al di là di ogni altra epoca. L’uomo ritiene di avere una doppia costituzione, quella terrena e quella ultraterrena. Nella vita terrena deve essere un perfetto credente nel Cattolicesimo, nella vita successiva deve raccogliere il frutto di questa fede. C’è una continuità terra-cielo, al di qua-al di là che nessuna epoca ebbe, eccetto forse la civiltà egiziana. Dio imperversa. Dio più che onnipotente è onnipresente. Dio invisibile, è nella mente. Non lo vediamo ma lo sentiamo. Tutto è compiuto in suo nome ed egli tutto compie. È l’imperatore dell’universo. O meglio il pontefice dell’universo.

Ma pontefice o imperatore si tratta di una figura somma, non scavalcabile, ultima. Questi sacerdoti, questi monaci, in uno stanzino, un “lettuccio”, un inginocchiatoio, di sicuro un crocifisso, imploravano di capire niente di meno che Dio. Erano umilissimi e temerari. Indifferenti al possesso, giacché possedevano Dio, o erano da Dio posseduti. Si proclamavano incapaci, e tuttavia volevano capire. Che cosa volevano capire? Qual è lo scopo del Medioevo? Questo: capire se l’universo ha un senso o è soltanto esistenza. Parmenide non chiedeva all’essere di avere un senso, chiedeva all’essere quel che l’essere è: esistenza. Ma quando si passò dal mondo greco al mondo cattolico, l’esistenza non bastò e si creò un’ambiguità tra essere e Dio e la metafisica sconfinava nella teologia. Se la metafisica è lo studio dell’essere, la teologia é lo studio di Dio. Sono la medesima realtà? Ecco il problema, che dura tutt’oggi.

Nella maniera più assoluta, non possiamo identificare l’essere con Dio, ma allo stesso tempo, non possiamo concepire Dio se non come essere. Non sono formulazioni verbali, sono problemi reali. Se Dio esiste è l’essere , anzi “essere”, ma nello stesso tempo è l’essere, vale a dire ha un’identità. Ma può la totalità avere un’identità? Ecco un problema non risolvibile. D’altro canto è proprio così. Dio sarebbe essere e nello stesso tempo l’essere, ma come essere non ha individualità e come l’essere ce l’ha. Come si risolve il dilemma? Si risolve non risolvendolo, vale a dire usando il termine essere in entrambe le determinazioni, con epigoni abbastanza deludenti (Martin Heidegger): odorare il profumo dell’essere che viene sospeso tra essere e l’essere, senza determinazione. Per semplificare: o si afferma che Dio esiste come “persona” o si ritiene che esiste l’essere ma non come Dio. Usare il termine “essere” in significato ambiguo è scorretto. Mettere insieme essere e l’essere è insostenibile. Dall’essere non si perviene a Dio. Ma qual era lo scopo reale di questi ardimenti (con)fusi? Reperire se c’è uno scopo in tutto ciò che esiste? O quel che esiste ci dobbiamo contentare di dire esiste e nulla più? E persino giungere alla dissoluzione sofistico-scettica, che non esiste l’essere ma gli esseri?

Saremmo in un universo di cui non sappiamo come mai esiste l’esistenza, privato dell’unità dell’essere, con miriadi di entità sparpagliate che sono in quanto sono, ma non capiamo come mai sono e a qual fine sono. I medioevali invece ritenevano che Dio sigillasse il senso, dotasse l’essere di senso. Non era lo spoglio esistere: ciò che è, ma ciò che è perché Dio l’ha creato, ha una ragion d’essere, addirittura nella sua totalità di essere è Dio (non mi spingo alla identificazione tra universo e Dio, do per concepibile la trascendenza), ha imposto uno scopo, di servire l’uomo, e l’uomo a sua volta pur peccatore, caduto, è stato creato per ben agire nel mondo e conquistare l’eternità. Il senso del tutto è la salvezza e l’eternità del singolo. L’uomo aveva il senso nel salvarsi e l’universo era a sua disposizione.

Dunque, per un medioevale: l’essere è, l’essere è Dio, ma Dio essendo l’essere trascende lo stesso e dà senso al creato, il senso del creato è fare da sede all’uomo, il quale precipitato nel creato, cogliendo il senso dell’esistenza dato da Dio, si salva e oltrepassa il creato con l’eternità dell’anima. Tra gli uomini, il tutto e Dio, vi è una continuità radicale: uomo, mondo, Dio. Il Medioevo. Il senso trovato, l’insieme spiegato. Secoli più tardi uno degli uomini mentalmente più onesti che abbiano espresso pensiero, Giacomo Leopardi, interruppe questo rapporto tra universo e uomo, e vide nell’universo l’essere privo di senso e nell’uomo un niente destinato al nulla. Da quel momento siamo al buio, o con luci momentanee. Taluni recidono la questione, l’Idealismo storico e il Materialismo storico. Il luogo dell’uomo è la storia, non il tutto, il senso dell’uomo va trovato nella storia.

Davvero? Non investigare come mai esiste l’esistenza? Altri restano medioevali, identificano Dio con l’essere. Ma è una forzatura, dall’essere non possiamo risalire ad un essere-persona ma alla nuda, spoglia presenza delle cose. Addirittura non esisterebbe l’essere ma gli esseri, sparpagliati, le cose, gli oggetti, di cui nulla possiamo dire altro che: esistono. E come mai esiste il tutto ancor meno possiamo dire. Allora? Eliminiamo la metafisica, la teologia, ci contentiamo di esistere “cosa cosciente” tra cose incoscienti, consapevoli di voler spiegare l’inspiegabile quindi rinunciando a voler spiegare? Ciascuno decida per sé. Ma credo sarebbe una recisione non domandarsi come mai esiste l’esistenza e limitarsi a cogliere i percorsi dell’esistenza.

Come mai esiste quella particella detta “singolare” che, quattordici miliardi di anni passati, esplose. Come mai esiste quella particella? L’esplosione non spiega l’esistenza della particella, è successiva all’esistenza della particella. Certo, sostare in un universo del quale non decifriamo come mai esiste ma solo i processi del già esistente ci rende estranei ad esso: non scorgiamo una direzione in comune. Nel Medioevo esisteva questo vincolo tra uno, cosmo e Dio. Ma le religioni esistono ancora. Ma un monaco del XIV secolo, anzi: intere popolazioni di quei secoli si credevano immersi in una fiumana che sarebbe sfociata in un mare conosciuto, si spiegavano la vita, personale e dell’insieme. A noi resta la volontà di vivere. E l’universo? Esiste. E basta? È così.

Sei tu che dai senso alla vita, in un universo che si limita ad esistere. È il risultato della scienza, che descrive, prende atto. Ciascuno ha la sua barca e la sua vela, e naviga negli oceani deserti, senza àncora e senza porti, secondo l’orientamento del proprio divenire. Non siamo nel Medioevo, noi. Possiamo amare la vita. Per amore della vita. Secondo volontà di vivere. Dando senso a noi da noi per noi. Nel passato l’uomo trovava un senso nella realtà. Noi ce lo inventiamo personalmente.


di Antonio Saccà