Pregi e limiti dell’arte di Benigni

lunedì 14 novembre 2022


Molto è stato detto e scritto su Roberto Benigni e potrebbe sembrare difficile aggiungere qualcosa di nuovo ed originale. In realtà, sono ancora molte le cose da scoprire, come è stato evidenziato nel corso della presentazione del libro di Gianmarco Cilento Il cinema di Roberto Benigni (Indipendent Publishing), che si è svolta alla Casa del cinema, a Roma.

È importante sottolineare il dibattito che si è sviluppato in quest’occasione tra l’attore Paolo Bonacelli e l’autore, con la moderazione di Graziano Marraffa, presidente dell’Archivio storico del cinema Italiano. Non si è trattato della solita celebrazione dell’artista: oltre ad alcuni aspetti inediti è stato evidenziato un limite dell’arte cinematografica del comico toscano. Roberto Benigni è un autore-attore che non arriva a eguagliare la versatilità e la “vis comica” di pilastri indiscussi dell’umorismo moderno, non solo per il cinema italiano, come Totò o Alberto Sordi. Ciò è dimostrato dal fatto che Benigni, lui per primo, ha avuto la consapevolezza di non poter affrontare qualsiasi ruolo e che doveva accettare solo le sceneggiature più consone alla sua maschera.

Ad esempio, nel 2006, il regista Matteo Garrone propose a Benigni di interpretare Dogman, ma l’attore toscano rifiutò con l’alibi di non voler spaventare i piccini, che tanto si erano commossi con La vita è bella (prodotto nel 1997, Oscar nel 1999 come miglior attore protagonista) e Pinocchio (2002). Ecco perché Benigni nel corso della sua carriera artistica ha rifiutato parecchi progetti, che nel libro di Gianmarco Cilento sono indicati in una lista approfondita di tutti i film non realizzati, spesso con le motivazioni per cui non ha accettato di girarli.

Un tentativo di cercare di andare oltre la sua maschera originaria avviene con Non ci resta che piangere (1984), dove emerge un Benigni più candido ed angelicato rispetto al precedente personaggio, un po’ “laido”, di Cioni. È questo un cambiamento che risponde a logiche commerciali. Il punto più alto lo ha raggiunto con La vita è bella, ma poi arriva il flop di critica con Pinocchio, che andò bene solo in Italia e solo per gli incassi. Ancor peggio andò successivamente con La tigre e la neve (2005), che a fronte di un budget di 32 milioni di euro, in tutto il mondo ne ha incassati solo la metà. In questa fase inciderà molto la lite furiosa con Vincenzo Cerami, lo sceneggiatore che più di ogni altro aveva valorizzato la maschera di Benigni. Da allora, il comico toscano non ha più trovato un altro sceneggiatore altrettanto efficace per valorizzarlo.

E, a questo punto, Graziano Marraffa pone un interrogativo decisivo al quale potrebbe rispondere solo Benigni: “se lui come attore ed autore di sé stesso ritiene compiuto il suo percorso espressivo nel cinema dopo tutti questi decenni oppure se vuole e può riservarsi in un immediato futuro qualcosa di ulteriore”. Ma la risposta a questa domanda potrà giungere solo dal prossimo film di Benigni, che ci auguriamo di vedere presto nelle sale cinematografiche.


di Laura Bianconi