La Prima guerra mondiale raccontata da Carlo Emilio Gadda

Le ragioni che rendono utile ed emozionante la lettura del Giornale di guerra e prigionia di Carlo Emilio Gadda, libro del quale l’editore Adelphi ha pubblicato una nuova edizione con gli inediti, sono molteplici. Il lettore rimane incantato dalla eleganza stilistica della prosa di Gadda, che in questo libro narra le vicende del Primo conflitto mondiale, alternandole a confessioni sulla propria vicenda autobiografica e familiare e a considerazioni penetranti sul carattere degli italiani. Gadda, studente di ingegneria, si trova a Edolo, in Val Camonica, quando nel 1915, all’inizio della guerra, viene nominato sottotenente. È triste perché non può studiare e leggere, trovandosi nell’Albergo Grande di Edolo senza libri; ecco perché inizia a scrivere un diario, che diverrà un classico della letteratura di guerra. Le notizie che provengono dal fronte russo, così come l’insuccesso di un’azione sul Passo del Tonale, avviliscono e provocano inquietudine nell’animo dello scrittore.

A Ponte di Legno osserva il modo in cui sono predisposte a difesa delle posizioni occupate dall’esercito italiano i trinceramenti e i reticolati, dove riecheggiano le cannonate austriache. Insiste a descrivere questi aspetti logistici della guerra, poiché è convinto che le cause delle disfatte, del malessere e dell’impotenza dell’esercito italiano, non sono oscure e indecifrabili. Per Gadda è evidente e palese l’incapacità degli alti comandi militari, la cui inettitudine a guidare le truppe emerge dalla circostanza che sono costrette a indossare abiti e scarpe inadeguate per proteggersi dalla sofferenza dovuta al freddo e al ghiaccio. Inoltre, nota acutamente Gadda, Antonio Salandra, il re, il generale Alberto Cavaciocchi non hanno mai fatto una visita al fronte, né si sono recati negli alloggiamenti dei soldati per verificare di persona la loro condizione di vita, così come faceva Giulio Cesare.

A Gadda pare che i soldati siano svogliati e pigri, sicché diventa difficile guidare le truppe, in assenza di un collegamento costante tra gli alti comandi e i vari reparti che compongono l’esercito italiano. Gadda, con sguardo penetrante e acuto nota e osserva che è palese negli alti comandi l’assenza di ogni buon senso logistico e la loro assoluta incapacità. Nei momenti di solitudine, pensa alle sue sciagure familiari, la morte del padre, le umiliazioni patite, la lontananza dolorosa dalla madre e dal fratello e dalla sorella. È consapevole che la sua la sensibilità morbosa rende tutto ciò più grave e insopportabile. Tuttavia riconosce che a Vezza d’Oglio le linee di trincea sono ben fatte e capaci di sbarrare un’eventuale invasione nemica. A Ponte di Legno, dove gli austriaci si sono rinchiusi nell’ospizio di San Bartolomeo di notte, in attesa di colpire le truppe italiane appena si fossero avvicinate, Gadda assiste a questa azione che provoca la morte di quattro soldati, la cui visione suscita sentimenti di compassione e pietà nel suo animo. Gadda, apprendendo che vi è stata la vittoria dei russi a Volinia contro gli austriaci, ritrova la speranza e si sente con l’animo risollevato. Quando a Magnaboschi l’artiglieria nemica inizia a battere la valletta, Gadda si rifugia nella trincea e prova una angoscia tremenda, sentendo la propria vita e quella dei suoi soldati messa a rischio dalla violenza dei bombardamenti.

Sono pagine di grande letteratura poiché rivelano quale è il comportamento umano nei luoghi in cui il conflitto bellico diventa feroce e devastante. Si parla in queste pagine della abilità del nostro esercito che costringe gli austriaci alla ritirata in modo analitico e descrittivo. In seguito Gadda completa a Torino il corso di allievo ufficiale e attende la nomina a tenente. A questo proposito, quando scopre, grazie alle informazioni avute dal suo amico Besozzi, che ancora non risulta all’alto comando il passaggio di complemento dal grado di sottotenente a quello di tenente, Gadda si scaglia con parole acuminate e polemiche contro la burocrazia italiana, che ai suoi occhi rappresenta la personificazione del disordine e delle innumerevoli insufficienze dei suoi compatrioti. Nell’esercito italiano, osserva in base a quanto ha compreso negli anni di guerra, che gli pare formato da persone pronte e inclini a dileggiare e schernire il prossimo, l’egotismo presuntuoso fa sì che tutto si riduca a una questione personale, sicché ogni soldato, al di là del ruolo rivestito, sente il bisogno di contrapporre il proprio sentimento e amor proprio a quello altrui.

A questo proposito, nel 1916 in Val d’Assa come ufficiale Gadda legge alcuni ordini del giorno redatti dagli austriaci a cui attribuisce rilievo storico ed etnico. In questi documenti austriaci vengono descritti gli errori tattici in cui incorrono i soldati italiani, mal guidati dagli alti comandi, indifferenti alla loro sorte. Analisi identiche a quelle che Gadda nel suo diario in precedenza aveva, in virtù delle sue meditazioni, fatto da solo e in modo spontaneo. In particolare si nota in questi documenti la dispersione del tempo e dello spazio in cui incorrono le truppe italiane, dando al nemico la possibilità di compiere il contrattacco. Gadda, tuttavia, facendo un esame di autocoscienza, ammette di essere troppo indulgente e gentile con i suoi soldati a causa della sua spiccata sensibilità umana. Nei momenti di noia e solitudine, quando vorrebbe essere presente nel teatro del conflitto per nobilitare con l’azione militare l’amore di patria che lo ha spinto a partecipare alla guerra, sullo spiazzo di Langabisa, con la macchina fotografica, trovandosi sullo Zovetto e sul Lamerle, coglie e ferma per sempre gli aspetti pittoreschi del paesaggio: i monti spelacchiati dai bombardamenti, i prati disseminati dalle trincee, le sepolture nelle buche prodotte dalle esplosioni.

Nel 1917, con i suoi soldati, Gadda è rinchiuso in una caverna posta sul Krasji vrh per difendere la sua patria e si accorge con disperazione che gli alti comandi non controllano e non comunicano, come dovrebbero fare, con le truppe. Scendendo verso l’Isonzo, Gadda prova rabbia e indignazione nel vedere l’indolenza con cui l’esercito italiano abbandona le armi e viene circondato dalle truppe austriache. Con il capitano Cola, prima di cadere prigioniero nelle mani dei tedeschi, Gadda pensa che sia possibile oltrepassare l’Isonzo, ma presto si accorge che i tedeschi, avendo sfondato a Plezzo e a Tolmino, si erano riuniti al di là del fiume. Oramai, erano approdati sia a Caporetto sia a Dresenza, sicché la disfatta dell’esercito italiano era già avvenuta e si era definitivamente consumata. Gadda, che già aveva notato gli errori e la confusione esistenti nell’esercito italiano, nel periodo in cui sarà prigioniero a Rastatt attribuirà la sconfitta di Caporetto sia alla inettitudine degli alti comandi dell’esercito italiano sia allo scarso impegno e alla mancanza di responsabilità dei singoli soldati e all’assenza di amor di patria.

Nel libro sono di straordinario valore intellettuale e letterario le pagine che raccontano le umiliazioni e le privazioni subite da Gadda nel campo di prigionia tedesco. Belle e indimenticabili la descrizione della visita del nunzio apostolico Eugenio Pacelli al campo di Rastatt durante la quale, con un’omelia colma di compassione umana e spirituale invita i prigionieri a offrire a Dio la propria sofferenza inconsolabile. Nel campo di prigionia Gadda assiste a spettacoli teatrali, legge libri di Stendhal e Rabindranath Tagore e discute di poesia con Ugo Betti, riflettendo sui capisaldi dell’estetica di Benedetto Croce a proposito del rapporto tra intuizione ed espressione e la ricerca, privilegiata dai simbolisti, dell’espressione poetica pura e scevra dalla tradizione letteraria. In un punto del diario, quando la guerra è conclusa, con la richiesta dell’armistizio da parte del generale Ferdinand Foch, Gadda si chiede come mai la chiacchiera evangelica, la visione tolstoiana della storia, le grandi idee, e la internazionale nel 1914 non fossero riusciti a scongiurare l’inizio della guerra, voluta dai tedeschi che erano mossi dall’ambizione titanica di conquistare il mondo intero. Rientrando a Milano Gadda, con disperazione, scopre che suo fratello Enrico, giovane intelligente e geniale, è morto durante un’azione dell’aviazione a cui apparteneva. Un libro, Giornale di guerra e di prigionia, che conferma come Carlo Emilio Gadda sia stato uno dei maggiori prosatori italiani del XX secolo.

Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda, a cura di Paola Italia, con una nota di Eleonora Cardinale, Adelphi 2023, 626 pagine, 35 euro

Aggiornato il 23 marzo 2023 alle ore 15:41