Lettera di Albert Einstein e risposta di Benedetto Croce

venerdì 24 marzo 2023


Lo scambio epistolare di grande valore umano, filosofico, politico, tra due eccezionali personalità del XX secolo. Forse ignorato, forse dimenticato, costituisce una lezione notevole ed attuale, anche con riguardo alla resistenza dell’Ucraina aggredita dai Russi.

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I - La Fondazione Luigi Einaudi ha l’abitudine di regalare agli ospiti illustri un’elegante cartellina contenente la copia anastatica della lettera che Albert Einstein spedì il 7 giugno 1944 a Benedetto Croce e la risposta di Croce del 28 luglio 1944. Lo stesso anno la casa editrice Laterza rilegò in brossura le due lettere. Siamo nel pieno della Seconda guerra mondiale: il 4 giugno gli Americani liberano Roma; il 6 giugno gli Alleati sbarcano in Normandia. Einstein scrive da Princeton, dove era riparato ad insegnare per sottrarsi alla persecuzione antisemita dei nazisti. Croce gli risponde da Sorrento dove a tratti villeggiava tra gl’impegni letterari e le fatiche politiche del postfascismo.

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II - La lettera di Einstein suscita due interrogativi, curiosità più che altro.

Il primo interrogativo nasce dall’incipit: “Apprendo che una persona di qui, che ebbe la fortuna di visitarla, ricusò di lasciarle la lettera da me indirizzata a lui ma scritta a Lei. Pure, di ciò mi consolo nel pensiero che Ella è ora presa da occupazioni e sentimenti incomparabilmente più importanti, e particolarmente dalla speranza che la sua bella patria sia presto liberata dai malvagi oppressori di fuori e di dentro.” Sembrerebbe di capire che Einstein avesse scritto a Croce una prima lettera, indirizzandola ad un’altra persona del posto affinché la consegnasse in visita al filosofo in Italia. Tale ipotesi risulta avallata dai “Taccuini di lavoro” di Croce, dove egli annota che la lettera di Einstein gli è pervenuta “per la via diplomatica” (lo conferma Giancristiano Desiderio, autorevole studioso di Croce). Lo Scienziato pare rammaricarsi della mancata consegna. Tuttavia, in quel tempo di generale sconvolgimento si consola al pensiero che il Filosofo attenda a rendere all’Italia “un servigio oltremodo prezioso perché è uno dei pochi che, stando di sopra dei partiti, hanno la fiducia di tutti.”

Il secondo interrogativo è posto dal tenore dell’intera lettera. Non vi traspare il motivo preciso che abbia potuto spingere Einstein a scriverla. La lettera, che è breve, contiene un nobile appello alla filosofia e alla ragione. Sebbene lo Scienziato disperi che possano diventare in tempo prevedibile “guide degli uomini”, crede che “esse resteranno il più bel rifugio degli spiriti eletti; l’unica vera aristocrazia, che non opprime nessuno e in nessuno muove invidia, e di cui anzi quelli che non vi appartengono non riescono neppure a riconoscere l’esistenza.” Einstein, citando Platone, scrive che in un certo modo sembra avverarsi il “governo dei filosofi” mentre “il circolo delle forme di governo è sempre in atto”. E conclude: “Chi realmente appartiene a quella aristocrazia, potrà bensì dagli altri uomini essere messo a morte, ma non offeso.” La lettera di Einstein potrebbe essere stata occasionata dalla liberazione di Roma e dall’opera che il Croce dispiegava da protagonista per la rinascita dell’Italia. Resta che nella lettera è esplicita l’alta considerazione personale dello Scienziato tedesco verso il Filosofo e Politico italiano.

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III - La risposta di Benedetto Croce fu abbastanza lunga, ma non fu di circostanza. Tutt’altro. Egli prepone il ricordo dei due incontri con Einstein: nel 1931 a Berlino, una lunga conversazione in cui furono accomunati “dallo stesso sentimento ansioso sul pericolo in cui versava la libertà in Europa”; nel 1940 a New York, quando collaborarono al volume sulla libertà (Freedom: its meaning). Ma subito dopo contesta (con professorale acribia, bisogna dirlo) le due considerazioni che Einstein sembra trarre da Platone: la teoria della repubblica perfetta governata dalla ragione e dai filosofi è stata respinta dal pensiero moderno; è stata conservata invece la teoria del circolo delle forme di governo, “in cui perpetuamente si muove la storia”, ma essa non era peculiare di Platone. “Secondo l’immagine che piacque al vostro Goethe”, Croce precisa che essa ha assunto un “corso a spirale”. Nell’idea del perpetuo avanzamento ed elevamento dell’umanità il Filosofo fa coincidere “la nostra fede nella ragione, nella vita e nella realtà”. Quanto alla filosofia, essa “è un’azione mentale, che apre la via, ma non si arroga di sostituirsi all’azione pratica e morale, che può soltanto sollecitare. I filosofi, quanto a questo, devono imitare un altro filosofo antico, Socrate, che combatté da oplita a Potidea, o Dante, che poetò ma combatté a Campaldino”. Dopo aver sunteggiato le cause del rovinoso affermarsi del fascismo, Croce svolge alcune considerazioni sulla guerra che, nella loro classicità, devono considerarsi immortali, valide ieri, oggi, domani, finché la guerra sopravviverà: “La guerra è la guerra e non ubbidisce ad altro principio che al suo proprio, e anche le più nobili ideologie sono per essa mezzi di guerra, come ogni conoscitore di storia sa e ogni uomo sagace intende. La lotta interna per la civiltà e la libertà si svolgerà poi, a guerra finita, nei paesi vincitori non meno che nei vinti, tutti sconvolti dalla guerra sostenuta, tutti dal più al meno disabituati alla libertà; e durerà anni e sarà assai travagliosa e assai perigliosa.”

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IV – Lettera di A. Einstein a B. Croce nel testo della brossura Laterza

Princeton, 7 giugno 1944

Apprendo che una persona di qui, che ebbe la fortuna di visitarla, ricusò di lasciarle la lettera da me indirizzata a lui ma scritta a Lei. Pure, di ciò mi consolo nel pensiero che Ella è ora presa da occupazioni e sentimenti incomparabilmente più importanti, e particolarmente dalla speranza che la sua bella patria sia presto liberata dai malvagi oppressori di fuori e di dentro. In questo tempo di generale sconvolgimento possa a Lei essere concesso di rendere al suo paese un servigio oltremodo prezioso. Perché Ella è dei pochi che, stando di sopra dei partiti, hanno la fiducia di tutti.

Se l’antico Platone potesse in qualche guisa vedere quello che ora accade, si sentirebbe come in casa sua, perché, dopo lungo corso di secoli, vedrebbe ciò che di rado aveva visto, che si viene adempiendo in certo modo il suo sogno di un governo retto da filosofi; ma vedrebbe altresì, e ciò con maggiore orgoglio che soddisfazione, che la sua idea del circolo delle forme di governo è sempre in atto.

La filosofia e la ragione medesima sono ben lungi, per un tempo prevedibile, dal diventare guide degli uomini, ed esse resteranno il più bel rifugio degli spiriti eletti; l’unica vera aristocrazia, che non opprime nessuno e in nessuno muove invidia, e di cui anzi quelli che non vi appartengono non riescono neppure a riconoscere l’esistenza. In nessuna altra società i vincoli fra viventi e morti sono così vivi, e i nostri simili dei secoli precedenti stanno con noi come amici, i cui detti non perdono mai la loro attrattiva, la loro fecondità e la personale loro magia. E, infine, chi realmente appartiene a quella aristocrazia, potrà bensì dagli altri uomini essere messo a morte, ma non offeso.

 Con rispettosi saluti e auguri. A. Einstein

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V – Risposta di B. Croce nel testo della brossura Laterza

Sorrento, 28 luglio 1944

La sua lettera mi è stata carissima, perché ho avuto sempre nel ricordo la lunga conversazione che facemmo in Berlino nel 1931, quando ci accomunammo nello stesso sentimento ansioso sul pericolo in cui versava la libertà in Europa: comunanza di sentimento e di propositi che vidi confermata allorché mi trovai a collaborare con Lei, -fatta esule dalla sua patria per l’inferocita lotta contro la libertà – nel volume di saggi (Freedom), preparato, or son quattro anni, in New York.

Delle due teorie di Platone, che Ella richiama, non è stata, in verità, ricevuta, anzi è stata respinta, dal pensiero moderno quella della repubblica perfetta, costruita e governata dalla ragione e dai filosofi; ma l’altra è stata serbata, che a lui non era particolare, del circolo delle forme, ossia delle forme necessarie in cui perpetuamente si muove la storia: con questo di più che quel circolo è stato rischiarato dall’idea complementare del perpetuo avanzamento ed elevamento dell’umanità attraverso il percorso necessario, o, secondo l’immagine che piacque al vostro Goethe, del suo “corso a spirale”. Questa idea è il fondamento della nostra fede nella ragione, nella vita e nella realtà.

Quanto alla filosofia, essa non è severa filosofia se non conosce, con l’ufficio suo, il suo limite, che è nell’apportare all’elevamento dell’umanità la chiarezza dei concetti, la luce del vero. È un’azione mentale, che apre la via, ma non si arroga di sostituirsi all’azione pratica e morale, che essa può soltanto sollecitare. In questa seconda sfera a noi, modesti filosofi, spetta di imitare un altro filosofo antico, Socrate, che filosofò ma combatté da oplita a Potidea, o Dante, che poetò ma combatté a Campaldino, e, poiché non tutti e non sempre possono compiere questa forma straordinaria di azione, partecipare alla quotidiana, e più aspra e più complessa guerra, che è la politica. Anch’io frequento la compagnia, della quale Ella parla con così nobili parole, di coloro che già vissero sulla terra e ci lasciarono le opere loro di pensiero e di poesia, e mi rassereno e ritempro in esse. Di volta in volta m’immergo in questo bagno spirituale, che è quasi la mia pratica religiosa. Ma in quel bagno non è dato restare, e da esso bisogna uscire per abbracciare gli umili e spesso ingrati doveri che ci aspettano sull’uscio.

 Perciò mi sento oggi, conforme ai miei convincimenti e ai miei ideali, impegnato nella politica del mio paese; e vorrei, ahimè, possedere per essa a dovizia le forze che le sono più direttamente necessarie, ma tuttavia le do quelle, quali che siano, che mi riesce di raccogliere in me, sia pure con qualche stento. E ringrazio Lei dell’augurio generoso che fa all’Italia, la quale ha sofferto una triste e dolorosa vicenda preparata dal collasso prodotto in essa come in altri paesi dalla guerra precedente onde fu possibile ai dissennati e violenti d’impadronirsi dei poteri dello Stato, non senza il gran plauso e la larga ammirazione del mondo intero, e volgere e sforzare l’Italia in una via che non era la sua, che tutta la sua storia smentiva. Perché non mai l’Italia, dalla caduta dell’Impero romano, ha delirato di dominio nel mondo ed essa per secoli ha attuato o ha cercato libertà e nella libertà si è unificata, e il suo nazionalismo e fascismo è venuto da concetti forestieri, che solo quei dissennati e violenti potevano adottare a pretesto del loro malfare. Neppure Roma antica ebbe cotesto delirio, perché l’opera sua fu di proseguire quella luminosamente iniziata dall’Ellade e creare un’Europa, dando leggi civili ai barbari che non ne avevano o le avevano barbariche.

La guerra è la guerra e non ubbidisce ad altro principio che al suo proprio, e anche le più nobili ideologie sono per essa mezzi di guerra, come ogni conoscitore di storia sa e ogni uomo sagace intende. La lotta interna per la civiltà e la libertà si svolgerà poi, a guerra finita, nei paesi vincitori non meno che nei vinti, tutti sconvolti dalla guerra sostenuta, tutti dal più al meno disabituati alla libertà; e durerà anni e sarà assai travagliosa e assai perigliosa. Ma poiché le guerre mirano, come a naturale loro effetto, a un assetto di pace, è da augurare e da raccomandare che gli uomini di Stato, che oggi le dirigono, pensino sin da ora a non preparare nei vari paesi condizioni tali che renderebbero impossibile una solida pace e, danneggiando così la causa stessa della libertà, preparerebbero una nuova guerra, la quale non potrà mai essere impedita dalla semplice coercizione, ma richiede la disposizione degli animi alla pace, alla concordia e alla dignità del lavoro. “Le lingue legano le spade”, come diceva un vecchio filosofo italiano.

Ma non voglio tediarla con entrare a discorrere di quel che io osservo e giudico nelle cose nella politica internazionale, in riferimento particolare all’Italia; chè anzi dovrei altresì chiederle venia di aver tolto occasione dalle sue parole gentili e cordiali per esporle i miei pensieri sulle alte questioni da Lei toccate. Ma “naturam expelles furca, tamen usque recurret”: la natura cioè del filosofo che distingue e teorizza. E, ringraziandola della sua buona lettera, Le stringo la mano. 

Suo B. Croce   

(*) Direttore emerito del Senato della Repubblica, Ph. D. dottrine e istituzioni politiche, già parlamentare.


di Pietro Di Muccio de Quattro (*)