I 60 anni del “gladiatore” Russell Crowe

Russell Crowe ha festeggiato ieri i 60 anni. L’interprete neozelandese è noto come interprete del centurione Massimo Decimo Meridio, nel film Il gladiatore (2000) di Ridley Scott. Un personaggio (doppiato magnificamente da Luca Ward) che gli regala un Oscar come Miglior attore protagonista e la popolarità mondiale. Da allora sono passati 24 anni e il divo sembra un uomo pacificato. Preferisce suonare dal vivo, esibirsi con la sua band piuttosto che concedersi ai fasti del red carpet, mostrarsi in pubblico con gli occhiali da miope e un corpaccione tanto diverso dall’atletico ragazzo degli esordi, scherzare sul palco del Festival di Sanremo, viaggiare incessantemente per poi tornare nella sua casa di Los Angeles dove è rimasto dopo il divorzio dalla cantante Danielle Spencer. Non ci sarà nel sequel del Gladiatore (che si concludeva con la sua morte), ma ha in serbo un film in uscita (Sleeping Dogs), un altro per l’estate (Kravenil cacciatore) e almeno quattro progetti in produzione.

Nato a Wellington, Nuova Zelanda, il 7 aprile del 1964 è da sempre orgoglioso delle sue origini maori (per parte di madre), di un cocktail di razze che si sono fuse nei secoli (irlandese, tedesca, gallese, scozzese, perfino italiana), del suo essersi fatto dal nulla e di aver imparato a recitare come autodidatta per passione e determinazione. Ha frequentato i set fin da piccolissimo (i genitori lavoravano al catering delle produzioni), lasciato casa a 16 anni spostandosi per anni tra il Paese d’origine e l’Australia, spesso guadagnandosi da vivere come musicista di strada, facendosi le ossa nelle soap-opera fino a strappare il primo ruolo nel 1991 (Crossing) e il successo con Skinheads e Romper Stomper l’anno successivo. Nel 1997, approdato a Hollywood, entra nel cast di L.A. Confidential e si conquista la prima nomination nella Guild degli attori. Il film del 1997, diretto da Curtis Hanson, interpretato da Kim Basinger, Guy Pearce e Kevin Spacey, è tratto dall’omonimo romanzo di James Ellroy. Il ruolo dell’investigatore senza illusioni, piegato dai fantasmi del suo mestiere, gli calza a pennello e ne ripeterà il successo, con molte varianti, lungo tutta la carriera. Ma è il nuovo secolo a farne una star con le tre candidature successive all’Oscar per Insider di Michael Mann, Il gladiatore di Ridley Scott, A Beautiful Mind. Per due volte viene sconfitto da Denzel Washington nonostante avesse dato vita a memorabili eroi del quotidiano, ma con il kolossal-peplum si prende la rivincita e la stella sulla Walk of Fame.

Benché non abbia avuto un successo analogo, Master and Commander (Peter Weir, 2003) rimane uno dei suoi ruoli più intensi e tra i suoi favoriti. Nella parte dell’ufficiale di marina Jack Aubrey, al comando della fregata Surprise, Russell Crowe sfoggia una varietà di atteggiamenti e sentimenti che sottraggono in fretta il film allo stereotipo del period-film di guerra per farne un fantastico viaggio alla scoperta del mondo tra Capo Horn e le Isole Galapagos in quell’Ottocento che vedeva l’Inghilterra dominare i mari del mondo alla scoperta di nuovi confini. Con la stessa naturalezza avrebbe poi indossato i guantoni di un pugile sconfitto (Cinderella Man), di un tormentato Robin Hood (ancora con Ridley Scott), del patriarca Noè (per la regia di Darren Aronovsky), perfino dell’implacabile poliziotto Javert nell’adattamento dei Miserabili a musical. Nel 2010 è il protagonista dell’intenso The Next Three Days diretto dallo sceneggiatore di Clint Eastwood Paul Haggis (Million Dollar Baby, Flags of Our Fathers), il remake del francese Pour Elle. Ai poliziotti è tornato spesso, perfetta incarnazione di un “modello Marlowe”, investigatore disincantato e fedele ai propri principi, anche se di recente il pubblico lo ricorda per un naturalistico Esorcista del papa. Ad ogni tappa denota una curiosità istintiva e ribelle che lo rende inclassificabile e inatteso. A 60 anni sembra pronto per scrivere un percorso artistico tutto da tracciare, ma non ci sarebbe da sorprendersi se scartasse di lato ancora una volta, come a inseguire un sogno interiore che ha proiettato nella sua prima ispirata regia, The Water Diviner, del 2014. Cui è seguito l’affascinante, ma meno risolto, Poker Face (2022).

Aggiornato il 08 aprile 2024 alle ore 16:53