Il vino trova l'antidoto alla crisi

In un panorama generale di forte disagio occupazionale, c'è un settore in espansione dove i posti di lavoro sono in aumento e le aziende faticano a trovare nuove professionalità. Il mondo del vino in Italia continua, in controtendenza, a creare occupazione: +1,7% dal 2006 a oggi, a fronte di un -2,5% del beverage nel suo complesso e a -5,1% del manifatturiero. Il comparto conta 1,2 milioni di addetti, ha corsi di formazione dove 9 studenti su 10 trovano lavoro (l'87% in Italia, il 13% preferisce l'estero); per 6 su 10 il posto arriva a tre mesi dalla laurea.

Non solo enologi, sommelier, cantinieri o viticoltori. Anche esperti di marketing, comunicatori, wine hunter (a caccia di clienti top per cantine ed enoteche), ambasciatori del brand (promuovono le aziende all'estero, soprattutto sui mercati emergenti), wine promoter (abbina il vino a eventi di ogni tipo), social wine writer (sempre connesso, 'guida' gli enoappassionati via social network). La filiera conta 18 comparti d'impiego diversi. Con un export da 4,4 miliardi di euro nel 2011 e una forte vocazione all'internazionalizzazione, le esigenze delle aziende si sono amplificate, anche nel campo della comunicazione.

«Spesso il lavoro si tratta di inventarselo, servono un po' di antenne al di fuori dei canali istituzionali», ha spiegato Alessandro Regoli che 10 anni fa ha dato vita a un'agenzia on line specializzata, Winenews, 10 dipendenti, sede a Montalcino, patria del Nobile, e punto di riferimento per aziende, buyers e tutta la community del mondo del vino. «La crisi è generalizzata ma il settore del vino tiene - ha spiegato Carlotta Pasqua, responsabile delle relazioni esterne dell'omonima azienda veronese e presidente dei giovani imprenditori dell'Uiv - per le aziende la distribuzione è strategica, servono figure nuove come il residence area manager, o il brand ambassador nei paesi emergenti, come Cina e Brasile, che faccia da trait d'union, anche culturale, tra l'azienda e quei mercati molto lontani dalla cultura enogastronomica italiana». Ma anche in vigna non si improvvisa più, servono agronomi specializzati, maestri potatori, esperti in packaging, dalla bottiglia al tappo.

«Il mondo è cambiato -  ha spiegato ancora la responsabile di Winenews - ci confrontiamo sempre più con aziende che la sanno lunga, la passione non basta, serve anche formazione solida». L'impatto pessimista della crisi, inoltre, con la riduzione dei consumi fuoricasa, sembra essersi momentaneamente fermato e ai giovani italiani adesso piace bere di qualità: il vino, per la new generation, deve essere biologico, a basso contenuto di solfiti, bassa gradazione alcolica e più morbido al palato. È questo, insomma, l'identikit del vino del futuro, quello che piace alla nuova generazione dei consumatori under 35. Non importa se costa caro, è fondamentale, però, che sia di qualità: dati che emergono prepotentemente dall'annuale ricerca di mercato Vinitaly - Unicab.

Dopo la "grande crisi" si sta affacciando un nuovo tipo di consumatori con tendenze e gusti diversi, più sofisticati rispetto al passato. Accanto a una propensione a spendere di più il sondaggio mostra un costante calo nei consumi individuali, motivato non tanto da ragioni economiche, che potrebbero essere vere di questi tempi, quanto a un accresciuto interesse per la salute, oltre al consolidarsi di nuove abitudini di vita. Non a caso i vini che il consumatore del 2012 intende acquistare nei prossimi mesi saranno con minor apporto di solfiti, bio e a basso contenuto di alcol, e che saranno prima "sperimentati" presso i locali attraverso serate o cene di degustazione.

Quanto alla "competizione" dei soft drinks, il campione intervistato da Unicab resta fedele al "nettare degli dei". Le eccezioni derivano dalla necessità di non appesantirsi a pranzo, di dover guidare dopo cena e dal rispetto verso altri commensali non bevitori. Gli under 35, inoltre, preferiscono acquistare il vino direttamente in cantina, magari accompagnato anche da una lattina di olio. Vino se ne beve, insomma, ma non come negli anni 80, durante i quali il consumo aveva raggiunto l'apice. Oggi la degustazione del bacco è scesa a meno di 40 litri a persona l'anno per un totale inferiore ai 21 milioni di ettolitri.

Emerge da un'analisi della Coldiretti che fa riferimento al report dell'Istat sull'uso e abuso di alcol in Italia. Nel 2011 gli italiani hanno speso addirittura più per acquistare acqua che per il vino. Il forte calo nelle quantità di vino acquistate dagli italiani, è affiancato «dalla preoccupante crescita» fra i giovani e gli adulti dell'abitudine al consumo di superalcolici, aperitivi e altre bevande con frequenza occasionale alternative al vino. «Il vino che è in realtà caratterizzato da un più responsabile consumo abbinato ai pasti che non ha nulla a che fare con i binge drinking del fine settimana e è oggi invece sempre più - precisa la Coldiretti - l'espressione di uno stile di vita 'lento', attento all'equilibrio psico-fisico».

Aspetti che vanno evidenziati «per evitare il rischio di una errata criminalizzazione del consumo di vino, mentre è necessario investire nella prevenzione promuovendo la conoscenza del vino con il suo legame con il territorio e la cultura, a partire proprio dalle giovani generazioni». Le esportazioni vinicole italiane verso l'estero, invece, hanno subito una brusca frenata nel primo bimestre del 2012. Lo ha reso noto l'Italian Wine and Food Institute.

Dopo il successo del 2011, che aveva visto incrementi del 13% in quantità, gennaio e febbraio di quest'anno hanno registrato - dice Iwfi - una diminuzione del 6% in quantità e del 10% in valore. Di conseguenza l'Italia è stata superata per quantità di vino esportato dall'Australia e dal Cile, pur avendo mantenuto il primo posto fra i paesi esportatori in quanto a valore (+16%). La contrazione delle esportazioni italiane è in contrasto con l'incremento, del 31,4% in quantità e del 9,4% in valore, delle importazioni vinicole statunitensi.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:37