Draghi promette riforme, ma il reddito di cittadinanza non funziona

Sul reddito di cittadinanza le modifiche previste nella Manovra 2022 non bastano. Diciamolo subito e spingiamo il Governo a intervenire prontamente, perché i criteri individuati mostrano una impossibilità di fondo e sono destinati a fallire. Cosa aspettiamo a sollevare il problema? Il premier Mario Draghi aveva promesso correttivi efficaci, ma così andrà solo peggio. Perché? Vediamo cosa è stato deciso.

Il reddito di cittadinanza, fortemente voluto dal Movimento Cinque Stelle (di recente Giuseppe Conte ha usato l’espressione “dovranno passare sul nostro cadavere” e Beppe Grillo ha aggiunto che “in pandemia sono stati raggiunti 5 milioni di poveri”), è stato rifinanziato per un totale che sfiora i 9 miliardi di euro, con un miliardo in più rispetto allo scorso anno. Nessun taglio, dunque. Come hanno voluto i grillini: rifinanziamento e aumento a fronte del 5,7 in più delle richieste.

Le questioni sociali sono già tese e le piazze calde, per cui il Governo non se l’è sentita di fare marcia indietro. Gli esperti di Palazzo Chigi, però, hanno assicurato che furbetti e sfruttatori saranno contrastati, redendo più efficace e stringente la misura della sospensione del reddito al terzo richiamo di offerta di lavoro non accettata. Ma questa è una beffa. Perché i Centri per l’Impiego, e anche l’Inps, hanno già fatto sapere che è altamente improbabile riuscire a collegare ai percettori idonei una sola offerta di lavoro, dunque figuriamoci una terza. Per cui i 770 milioni di risparmio sono utopia. Sapete fino a oggi com’è andata? Che i 30mila navigator per 780 euro al mese hanno trovato lavoro a 423 persone in tutto. Quindi, dividendo il costo degli stanziamenti per il numero ridicolo degli occupati, un posto di lavoro si può dire sia costato paradossalmente la cifra scandalosa di 400mila euro! Si può continuare così?

I mali del “reddito parassitario” stanno sollevando le lamentele di interi settori: dalla ristorazione al turismo, ai servizi, alla manodopera. Non si trovano più cuochi, camerieri, personale di servizio, operai, camionisti, perché col reddito è più facile stare a casa. E tra i giovani sono più quelli che il lavoro neppure lo cercano. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha commentato: “Bene il reddito come contrasto alla povertà, ma non siamo e non saremo mai d’accordo sulle sue politiche attive del lavoro. I navigator sono stati un fallimento”. Molti dei 30mila ingaggiati si sono licenziati, in Liguria ne sarebbero rimasti 24. Dunque, come si può pensare di attivare la seconda parte del provvedimento e cioè l’avviamento al lavoro dei percettori? Il Governo pensa di assumerne altri?

Questa volta non si può tirare in ballo lo scontro tra sinistre e destre, stavolta è la macchina amministrativa e la regia della presidenza del Consiglio che deve dimostrare la sua capacità. “Il criterio di fondo lo condivido”, aveva esordito Mario Draghi. Stia pur bene, ma allora questo Paese deve dimostrare di funzionare al di là dei partiti, dei leader e delle battaglie ideologiche, perché il momento richiede unità ma soprattutto misure concrete, attuabili, monitorate. Cioè capacità ed efficienza. E su questo il super Mario Draghi si gioca molto. Allo stato attuale, il reddito di cittadinanza sta producendo una involuzione civile del nostro valore più alto, cioè il concetto di lavoro quale principio fondante della Costituzione come strumento del progresso, della democrazia e della libertà, oltre a una caduta pericolosa della qualità. Un imbarbarimento, insomma. E fosse solo questo.

Il sussidio produce infatti forme di attività esentasse, spingendo sul “nero”. Non è così forse? Il reddito non è tassato. Al reddito molti percettori aggiungono lavoretti in nero. Tutto esentasse. Chi paga le gabelle a fronte di bonus a pioggia se non quel ceto medio sull’orlo di degenerare? Il Paese è stanco, deluso, demoralizzato. L’astensione è stata un segnale chiaro per tutti. Gli italiani che ricevono il sussidio sono 2,58 milioni, mentre 318mila sono gli extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno e 119mila i cittadini europei. Al Nord le famiglie beneficiate sono 301mila, al Centro 213.393, ma al Sud il dato esplode a 844.938, cioè 2 milioni di persone. Solo a Napoli le famiglie sono 179.924, praticamente come l’intera Lombardia e Piemonte. Non si può più nemmeno sostenere che questa misura sia stata una trovata politica per ottenere voti, visto come sono andate le recenti Amministrative. Il tempo delle astuzie sembra terminato.

La povertà è un dato di fatto, il numero degli immigrati privi di sostentamento e formazione aumenta ogni giorno, la tensione sociale è in bilico, per cui è imprescindibile pensare a forme di garanzia e tutela sociale, ma devono funzionare nella direzione dell’occupazione, dell’inclusione e dell’utilità. Non è una prerogativa da propaganda della sinistra. È pensabile ridurre la platea dei beneficiari? E riuscirà Mario Draghi e la sua squadra a modificare la formula, traducendola in inclusione al lavoro, alla formazione, alle attività utili? C’è un Paese da rimettere in piedi, da ripulire e monitorare, ma i Comuni fanno sapere che non hanno accesso alle liste dei percettori e non hanno criteri per valutare gli idonei. Insomma, per ora funziona solo l’assegnazione. Ma nella Repubblica del lavoro si vuole cominciare a mettere i cittadini italiani e stranieri a operare per il bene della comunità, magari sollevandoli dal ruolo di utenti da tastiera? Invece di stare tutti sui social, si vuole cominciare a fare sul serio?

Aggiornato il 27 ottobre 2021 alle ore 10:08